Così ridevano
Ridevano, gli imprenditori privi di scrupoli e di decenza, che le ormai note intercettazioni hanno inchiodato al loro abominio; l'abominio di conversazioni telefoniche svoltesi mentre l'Aquila piangeva le sue vittime e loro cominciavano già a pianificare lucrosi affari, con il più che probabile avallo di autorità compiacenti. Questo potrebbe essere il punto di partenza. Ma nel particolare contesto filmico che andremo ora ad esplorare costituisce, piuttosto, un provvisorio punto d'arrivo. Quasi la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso. Sì, perché nell'inchiesta cinematografica della sempre caparbia e incalzante Sabina Guzzanti lo shock della telefonata arriva al termine di un percorso, che è anche un piccolo luna park degli orrori.
Il terremoto in Abruzzo come valvola di sfogo per l'attività di palazzinari senza ritegno, pronti a farsi consegnare remunerativi appalti per vie, diciamo così, privilegiate. Il terremoto in Abruzzo come ancora di salvezza per un premier dalla dubbia moralità, sempre in procinto di essere travolto da accuse di ogni genere, compresa quella di collusione con la mafia, ma sempre pronto a balzare nuovamente in sella grazie a qualche acrobazia mediatica, in sintonia coi costumi di un così sfacciato e mefistofelico imbonitore televisivo. Quasi conseguentemente il terremoto in Abruzzo trasformato in passerella ad uso e consumo di personalità della politica e dello spettacolo, neanche fosse una interminabile puntata di Porta a porta, indigesto show da servire in pasto a masse dalla coscienza anestetizzata. Il terremoto in Abruzzo come speciale vetrina per l'alfiere della Protezione Civile, Guido Bertolaso, anche lui destinato ad essere inseguito ovunque dagli scandali e più simile ormai all'ennesimo satrapo investito di poteri pressoché illimitati, nella piccola corte dei miracoli di Silvio Berlusconi, che a un umile servitore dello Stato quale millanta di essere. Il terremoto in Abruzzo, volendo ora introdurre una prospettiva se possibile ancora più inquietante, come speciale coltura ove sperimentare progressive limitazioni dei diritti civili, in tendopoli gestite talvolta alla maniera di piccoli lager.
Ecco, quanto abbiamo finora elencato è un sommario senz'altro parziale, schematico, di ciò che Draquila - L'Italia che trema sviluppa invece nei termini di una ricerca seria, estremamente circostanziata, non priva però di quella graffiante ironia che la Guzzanti riversa nelle sue apparizioni cinematografiche, teatrali e televisive (la vedremo anche qui, non a caso, nei panni di un Silvio giullaresco che arringa la folla dei terremotati). Eppure, si ha quasi l'impressione che la celebre imitazione rimanga un elemento scollegato, meno incisivo del solito: lo spazio della satira fatta in prima persona sembra restringersi, quando la veste grottesca del potere (ben esemplificata da immagini di repertorio, da dichiarazioni televisive messe impietosamente a confronto tra loro, dalla costante verifica nelle tendopoli e nelle case appena costruite delle tante mistificazioni poste in atto dal regime) è sufficiente da sola a dichiarare gli intenti dell'opera.
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Abbiamo parlato poc'anzi di un ideale mosaico. Se consideriamo Draquila - L'Italia che trema solo un frammento della spaventosa figura che va componendosi lungo i bordi della penisola, diverse altre sono le tessere che in questi anni hanno contribuito a definirne i contorni: non volendoci qui dilungare, ci limitiamo a citare Biutiful cauntri per l'emergenza rifiuti e Videocracy quale excursus sui presupposti della dittatura mediatica, cui assistiamo con un senso di impotenza che cresce di giorno in giorno. Sono barlumi di un cinema di impegno civile, talvolta anche grezzo, ma dotato di una sua funzione insostituibile, se si vuole provare ancora a resistere. Una resistenza che al momento si annida tra le macerie del terremoto e le ferite apparentemente invisibili, ma non per questo meno reali, di una società in rapido declino.