Come sottolinea la recensione di Corpus Christi, dopo la parentesi bellica di City 44 Jan Komasa torna a occuparsi di ciò che sa fare meglio: raccontare giovinezze tormentate. Protagonista di Corpus Christi, presentato a Venezia 2019 nella sezione delle Giornate degli Autori, è il ventenne Daniel, appena uscito sulla parola dal riformatorio dopo aver ucciso involontariamente un uomo. In carcere Daniel si avvicina a un prete e si convince di voler seguire le sue orme, ma il prete lo distoglie dall'idea di prendere i voti visto che nessun seminario lo accetterebbe per via del suo passato criminale. Daniel non si dà per vinto e una volta libero, dopo aver infranto le regole del riformatorio, si finge prete piombando in un villaggio rurale afflitto da un grave lutto e sconvolgendo i precari equilibri coi suoi modi anticonformisti.
Per Corpus Christi, Jan Komasa aveva bisogno di un giovane attore intenso e carismatico. Il regista lo ha trovato in Bartosz Bielenia, emergente dal volto pulito e dallo sguardo magnetico. Dietro l'aria da bravo ragazzo, Daniel è assolutamente imprevedibile, pronto a gesti di incredibile dolcezza o di immensa ferocia. L'irrequietezza del giovane, messa a dura prova dalla violenza del riformatorio, trova una valvola di sfogo nella parrocchia da gestire e nei problematici parrocchiani, la cui fede è congelata nella tragedia che ha colpito il paese qualche anno prima. Nel corso della sua finzione, Daniel si avvicina alla coetanea Eliza, l'unica capace di guardare oltre le apparenze e di affrontare il dramma passato col distacco necessario per imparare ad andare avanti. L'influenza dei due giovani sul villaggio aiuterà a sbloccare la situazione.
L'aria nuova che spira dalla Polonia
Dall'Europa dell'Est, nell'ultimo decennio sono arrivate opere interessanti, innovative e coraggiose. Sulla scia della New Wave romena, anche cinematografie di nicchia per il grande pubblico come quella bulgara e quella polacca si affacciano sempre più spesso sulla scena internazionale con pellicole di grande impatto emotivo. Non fa eccezione Corpus Christi, film che trova il suo equilibrio coniugando tinte forti e scavo psicologico dei personaggi, senza farsi mancare momenti di humor. Il film di Jan Komasa si muove su un doppio binario: da un lato concentra l'attenzione sul suo protagonista, l'intenso Bartosz Bielenia, e sui suoi eccessi, con abito talare o senza. Daniel è un giovane difficile da catalogare, taciturno e pieno di rabbia, violento e capace di pensieri filosofici profondi. Gli impulsi animaleschi a cui il ragazzo si lascia spesso andare si controbilanciano nell'afflato religioso da cui si sente pervaso tanto da pensare di aver trovato nella fede un punto d'approdo per rimettere in carreggiata un'adolescenza sbandata. Non che questo gli impedisca, di tanto in tanto, di consumare droga e sesso occasionale, comportamento non proprio in linea con i precetti religiosi.
Ritratto di un'adolescenza tormentata o film corale?
Ma Corpus Christi e anche un film corale. Daniel passa dal carcere al villaggio polacco di cui si finge parroco. Il regista lo circonda di personaggi eccentrici e variegati, spesso e volentieri sopra le righe tanto quanto il loro nuovo prelato. A fianco della riflessiva Eliza vi è la madre rigida e bigotta, chiusa nel dolore per la perdita del figlio nel misterioso incidente d'auto occorso anni prima. Vi è il vicario che ama un po' troppo l'alcool e vi è la vedova dell'autista che ha causato l'incidente, sulla quale sono ricadute le colpe del marito. Reietta e sola, la donna vive ai margini del paese e rifiuta ogni contatto con gli altri. E poi vi è il sindaco mellifluo e calcolatore e gli altri abitanti, tutti con le loro stranezze e coi loro peccati da espiare. L'esistenza di questo collage di strane figure viene scosso dall'arrivo di un giovane prete che li costringe ad affrontare l'accaduto urlando (letteralmente) il proprio dolore per la strada e riscoprendo Dio là dove nessuno pensava potesse esistere.
Lo stile visivo di Jan Komasa è diretto, immediato, a tinte forti. Complice la recitazione concitata e intensa dei suoi personaggi, il regista alterna sequenze esplosive a momenti di fissità ieratica. Qua e là si colgono riferimenti di stampo pittorico a impreziosire l'insieme. Corpus Christi si distingue per equilibrio e capacità di variare registro senza mai perdere di vista l'essenza dello stile del proprio autore. Fin dall'energetica sequenza d'apertura ambientata in riformatorio, lo spettatore viene trascinato nel mondo di Daniel e non può non solidarizzare con questo personaggio nonostante le sue imprudenze e i suoi sbalzi d'umore. L'autore ci tiene per mano rendendoci partecipi di una vicenda umana - ispirata, pare, a una storia vera - e alimentando la nostra speranza di un lieto fine che, viste le asperità della situazione, potrebbe essere tutt'altro che scontato.
Conclusioni
Il nuovo cinema polacco riserva molte sorprese, come dimostra la recensione di Corpus Christi, dramma dalle sfumature umoristiche che esplora la giovinezza problematica di un ex detenuto mescolando temi alti come religione, perdono, accettazione di sé, senso di comunità. Film corale e al tempo stesso profondamente individualista, lo stile visivo immediato e i toni a tinte forti catturano lo spettatore in una girandola di emozioni alla scoperta di un autore e di un cast da tenere d'occhio.
Perché ci piace
- La storia a tinte forti risulta coinvolgente grazie all'intensa performance del giovane protagonista Bartosz Bielenia.
- A uno stile visivo diretto e di forte impatto corrisponde una varietà di toni che mescola dramma e sottile humor.
- Lo sguardo di Jan Komasa è essenziale, am anche ricco di sfumature nel tratteggiare personaggi eccentrici e variegati.
- All'eleganza della messa in scena corrisponde un contenuto di peso religioso e filosofico.
Cosa non va
- A tratti lo humor polacco risulta di non facile comprensione, visto anche il curioso comportamento di alcune figure.
- La centralità del tema religioso e il modo in cui viene affrontato potrà infastidire alcuni.