Un film che parla di oscurità, ma che cerca la luce. Un film umido, nei suoi colori petrolio, lividi e affogati in un'atmosfera quasi onirica. Ancora, un film che traccia le strade del passato, puntando al presente. Perché è chiaro: il cinema, oggi, guarda alla memoria per raccontare le storie. Soprattutto il cinema nuovo, quel cinema dei nuovi registi e dei nuovi autori di cui abbiamo già voglia di vedere come proseguiranno i propri discorsi dietro la macchina da presa. Come nel caso di Alessandro Roia che dirige e scrive (insieme ad Ivano Fachin) Con la grazia di un Dio, presentato in anteprima alle Giornate degli Autori 2023.
Un film, per forma e per sostanza, quasi spettrale: sensazione voluta nei toni e, come detto, nei colori. Una prova notevole, l'esercizio che si somma alla sostanza di un film silenzioso e fugace, che non si vergogna di essere pop nella sua elegante struttura. Un discorso quindi universale, nella sua sincera brevità (80 minuti), in cui seguire le tracce di un uomo comune che "vuole vederci chiaro". Del resto, ora, non c'è nulla di più sfuggente che la verità. Verità negata e verità mascherata, mezze verità e verità di comodo: una società che cambia le prospettive a proprio comodo, facendoci perdere i punti di riferimento, le certezze. Dunque, l'unica cosa è tornare indietro, quasi in retromarcia: per capire il presente, bisogna ricostruire il passato. Costi quel che costi.
Con la grazia di un Dio, la trama: un mondo perduto e la verità che sfugge
Del resto, i costi emotivi, in questo caso, sono altissimi. Come sa bene il protagonista del film, Luca, interpretato da Tommaso Ragno (uno degli attori più "importanti" che abbiamo). Dopo venticinque anni torna a Genova, per il funerale del suo migliore amico, che non vede da anni. Quell'amico di gioventù, tra notti infinite e motociclette, tra lealtà e complicità. Un funerale dove Luca ritrova un mondo perduto, ingiallito.
Tutti si sono stretti al capezzale di quel ragazzo morto per aver vissuto sempre in eccesso, "la morte era inevitabile", dicono. Eppure, se di verità si tratta, con la grazia di un Dio (da qui il titolo), Luca plana sopra una Genova irriconoscibile: vuole indagare, vuol far luce sulla morte del caro amico. Più scava, più trova l'acqua. Più trova l'acqua, più sale il fango.
Il romanticismo e il dolore: l'esordio di Alessandro Roia convince
Acqua, fango, aria, il cielo livido di Genova come scenografia, i vicoli bui cantati da De André come labirinto naturale e come labirinto mentale, nel quale Alessandro Roia segue il protagonista come se fosse la sua ombra. Sotto, un freddo che quasi ti entra nelle ossa, poi spezzato dai colori al neon di una discoteca sudata, dove Tommaso Ragno, vestito di viola, si aggira come un fantasma. Perché poi, l'opera prima di Roia, che supera agilmente la voglia di apparire tipica dei debutti, è anche un film di fantasmi. Anzi, sono loro le figure centrali di Con la grazia di un Dio, al pari di Genova, che diventa protagonista onnisciente e spietata nella sua indurita atmosfera. I fantasmi che appaiono e scompaiono, confondendo i pensieri di Luca, e le immagini in 35mm, pulsando cinema e pulsando il racconto, che esce forte dai silenzi che sorreggono una sceneggiatura che mescola il dolore al romanticismo dei giorni perduti.
Il tutto, sottolineato dalla tecnica: il montaggio dilatato di Marco Spoletini, la fotografia plumbea di Massimiliano Kuveiller e le musiche originali di Lyra Pramuk, che danno una tridimensionalità ai passi svelti di Luca, appesantito dai nervi e dall'oscurità, che gli resta appiccicata come se fosse una macchina impossibile da lavare. Contrappasso, in un'opera in cui l'acqua sembra lo stato dell'arte. Acqua, morti che camminano e fluidità: fluidità nella regia, e nella storia che, come ogni racconto costruito sulla memoria, parla anche e soprattutto di errori, e di amicizia maschia, dove sono gli occhi (tagliati da Roia come se fosse un western) ad avere l'ultima parola. Con la grazia di un Dio, c'è del cinema da queste parti.
Conclusioni
Come scritto nella recensione di Con la grazia di un Dio, il film d'esordio di Alessandro Roia funziona nell'idea di cinema pop ed elegante, ben strutturato nella gestione degli spazi e dei colori, perfetti per trasmettere l'umore plumbeo di una sceneggiatura che si concentra sui fantasmi, sulla memoria, sugli errori di un uomo perduto tra mille vite. Protagonista un sempre grande Tommaso Ragno.
Perché ci piace
- Tommaso Ragno, sempre enorme.
- I colori plumbei.
- La location.
- L'eleganza pop della regia.
Cosa non va
- Una stasi nella parte centrale...
- ... e qualche ghirigoro tipico degli esordi.