Grande impegno per Cattleya e RaiCinema nella produzione e nella distribuzione del nuovo film di Sergio Rubini, che viene distribuito in ben 420 sale in concomitanza con le vacanze pasquali.
Ambientato nel complesso mondo che ruota intorno all'arte contemporanea, alle mostre e alle gallerie specializzate nel settore, Colpo d'occhio, che tradotto in inglese suona un po' come Eyes Wide Shut, come l'ultimo film di Stanley Kubrick, ci viene raccontato da regista e cast principale.
Come si è svolta la collaborazione con l'artista Gianni Dessì?
Sergio Rubini: Dessì è un buon amico di Angelo Pasquini, il nostro sceneggiatore. Così abbiamo deciso che ci serviva il suo apporto, volevamo fosse lui a realizzare tutte le opere e tutte le mostre del film.
Scamarcio, qual'è il suo rapporto con l'arte?
Riccardo Scamarcio: Per me era la prima volta alla Biennale di Venezia, un'esperienza molto interessante. Ho un rapporto con l'arte da profano, mi capita vedere mostre di pittura, mia madre era una pittrice, per cui ho un'infarinatura generale. Ma ho un rapporto occasionale non assiduo.
La recitazione nel film è molto particolare, c'è tanta ambiguità e mistero, è quasi non naturale. Come mai questa scelta?
Sergio Rubini: Avevo in mente che il film fosse recitato in questo modo. Noi italiani siamo convenzionalmente realisti, fautori di un finto "buttato via", mentre in altre cinematografie c'è un'impostazione teatrale quando serve. C'era bisogno di una struttura che lo sostenesse, è un dramma di personaggi, il pubblico doveva essere costretto ad accorgersene. Scamarcio e la Puccini li amo molto. Scamarcio è ambivalente. Un pò ragazzino e un pò giovane uomo, figura che in Italia non c'era più, ma è in grado già di interpretare un uomo. Anche la Puccini è molto solida come attrice.
Vittoria Puccini: Rubini mi ha presentato Gloria come una Cassandra, che intuisce la verità, ma è destinata a non essere creduta. Sembra quasi una pazza in certi momenti, è ambigua, e si svela pienamente solo alla fine. E' il personaggio più positivo, ma ha le sue colpe, non ha il coraggio di affrontare il suo uomo. E questo è affascinante, la sua linea sottile tra razionalità e vena di follia, sensibilità estrem. Questi sono personaggi molto interessanti.
Riccardo Scamarcio: E' stata una vera sfida, mi sono appassionato e ho sofferto. C'era una reale possibilità di avere attenzione alle battute, ho lavorato in una costruzione progettuale, venivo da film in cui le cose interessanti erano improvvisate. La Puccini è un'attrice curiosa, diversa dalle altre attrici perchè è distante ma intensa, caratteristica delle grandi attrici degli anni '50. Questo non toglie forza al personaggio, anzi ne aggiunge.
Come nasce l'idea? C'è una descrizione mondo dell'arte come un pò piacione e cinico...
Sergio Rubini: Conosco Scamarcio da tempo, ha fatto con me dei provini, l'ho seguito, sapevo che lui nutriva stima nei miei confronti, ma non ho mai avuto un ruolo per lui. Ho voluto incontrarlo di nuovo, l'ho invitato a casa mia. Ho pensato cosa sarebbe successo se lui venendo a casa mia e si fosse aspettato uno che lo accogliesse, in realtà trovasse un nemico, uno che lo ucciderebbe, che gli porterebbe via tutto, anche gli affetti più cari. Il film nasce da qui. L'ambientazione è solo uno scenario, il tema del film è il successo che c'è al centro di un conflitto, non il successo di cui parla la tv, ma un successo nobile: esser riconosciuti per ciò che si vale. All'inizio pensavo ad un musicista, perchè sono un appassionato di musica classica. Scamarcio mi ha proposto di farne un pittore, un artista, e siamo finiti allo scultore, una figura più complessa, che lavora su materiali complessi. Non voglio esprimere un parere sull'arte contemporanea, non la conosco. Sono figlio di un capostazione, pittore impressionista dilettante. Il contesto è uno scenario e ho solo cercato di raccontarlo credibilmente.
Che rapporto vede tra gli artisti e la critica?
Sergio Rubini: Credo molto nella critica, anche nella critica cinematografica, la seguo, credo in questo rapporto conflittuale ma necessario. Il rapporto più importante è quello tra l'artista che fa una cosa e il critico che gli dà un senso. Sono due presuntuosi in fondo, l'artista vuole fare da solo, e il critico pensa che senza di lui non possa esistere artista.
Scamarcio, esistono personaggi come il suo nella realtà? Come è stato il suo rapporto con il regista?
Riccardo Scamarcio: Le dinamiche che intercorrono tra i due personaggi sono plausibili, sentimenti bassi e pensieri neri, che possono essere il tormento di un artista. C'è una paura che può fare impazzire, non soltanto legata al successo, ma legata alla possibilità di continuare a vivere facendo poi quello che uno ama. Gli artisti da questo punto di vista sono più vittime e dipendenti dal giudizio del critico, del gallerista.
Sono restio ad affidarmi totalmente al regista, ma questa volta Rubini ce l'ha fatta. Gli attori a volte pongono delle resistenze che possono aggiungere qualcosa al film, ma in questo caso no, la responsabilità di quel che si vede è tutta del regista.
Sergio Rubini: Tutto il film si regge su una certa ambiguità. Il nocciolo è il rapporto tra un uomo e la propria ombra. Ma io sto dalla parte di Scamarcio. Le sue ragioni magari possono essere meno nobili, c'è una bramosia di arrivare, ma nell'artista comunque la leggerezza è la nota che lo salva, perchè si riesce a commuovere, ha un cambio di marcia nella sua istintività. Il film è un film contro la ragione, la razionalità, l'incapacità di emozionarsi.
A chi ti sei ispirato?
Sergio Rubini: Vorrei dire che non ho pensato proprio a nessuno. Faccio un grandissimo lavoro di sceneggiatura, non ragiono sugli altri film, anzi mi capita spesso di parlare di libri, non di cinema, il cinema non è la mia formazione, mi riferisco più ai libri. Mi sono lasciato andare, avevo le mie idee. La dimensione estetica del film risiede nel momento in cui mi sono convinto che le ambientazioni fossero perfette. Tutto è scritto e nasce in sceneggiatura.