Perlomeno tra gli addetti ai lavori, c'era molta curiosità per il nuovo progetto cinematografico di Wash Westmoreland. A cinque anni di distanza dal successo di critica ottenuto con Still Alice, in cui si raccontava con intensità e senza retorica il dramma di una donna affetta da Alzheimer che è valso a Julianne Moore un meritato Oscar come migliore attrice protagonista, il cinquantaduenne regista britannico ha fatto ritorno dietro la macchina da presa con un film biografico in costume: Colette. In questo caso però, per la prima volta dopo diverso tempo, non è stato affiancato alla regia dal compagno e fido collaboratore Richard Glatzer, scomparso nel 2015 ma comunque co-sceneggiatore del nuovo lavoro insieme allo stesso Westmoreland e a Rebecca Lenkiewicz (Ida di Pawel Pawlikowski, il recente Disobedience di Sebastián Lelio).
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Colette, Claudine e la Belle Époque
Presentato all'ultimo Festival di Torino dopo essere uscito un paio di mesi fa nelle sale statunitensi, Colette racconta la storia dell'omonima autrice transalpina divenuta nei decenni un vero e proprio punto di riferimento culturale nella Francia del Novecento, candidata nel 1947 al Nobel per la letteratura (Keira Knightley). Nata nel 1873 e cresciuta nella campagna della Borgogna Sidonie-Gabrielle Colette, questo il suo nome di battesimo, dopo aver sposato all'età di vent'anni l'editore e scrittore Henry Gauthier-Villars (Dominic West) si trasferisce nella Parigi della Belle Époque. Qui entra in contatto con gli stimolanti ambienti culturali della capitale francese e ben presto scopre di avere un notevole talento per la scrittura. Su suggerimento di Gauthier-Villars inizia a scrivere dei romanzi ispirati alla sua vita pubblicandoli però con il nome del marito, noto con lo pseudonimo letterario di Willy, convinto che un'opera firmata da una donna non avrebbe avuto alcuna possibilità di essere venduta.
Le opere dedicate all'alter ego di Colette Claudine hanno un successo senza precedenti per l'epoca e il personaggio da lei inventato assume in pochissimo tempo un ruolo di grande rilevanza nell'immaginario popolare francese, divenendo un vero e proprio brand. Quando però Colette chiede al marito che appaia anche il suo nome nelle pubblicazioni, il rifiuto dell'uomo inizia a far incrinare irrimediabilmente il rapporto tra i due, già messo a dura prova fin dal principio per i continui tradimenti di lui e poi andato in crisi in seguito alla decisione di Gauthier-Villars di vendere i diritti della serie di Claudine per pagare i propri debiti.
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Un'ottima prova per Keira Knightley
Dopo la separazione avvenuta nel 1910, Colette firmerà a suo nome diverse altri romanzi, tra i più noti dei quali si ricordano Cheri (1920, da cui è stato tratto anche l'omonimo film di Stephen Frears con protagonista Michelle Pfeiffer) e Gigi (1944, portato in scena a Broadway da un'ancora sconosciuta Audrey Hepburn) e lavorerà come autrice e critica sia teatrale che cinematografica, continuando ad alimentare l'immagine di una donna incredibilmente talentuosa, vitale e libera. Il film di Westmoreland però questa seconda parte della sua vita non la racconta, soffermandosi in grandissima parte sul rapporto con Henry Gauthier-Villars e arrivando a mostrarci la fine della loro relazione e la prima esperienza di Colette in campo teatrale, condivisa con la facoltosa marchesa Mathilde de Morny (Denise Gough) della quale si innamora.
Per quanto sia senz'altro un biopic godibile che può contare su un'ottima ricostruzione d'epoca e delle interpretazioni di livello da parte dei protagonisti Keira Knightley e Dominic West (in particolare l'attrice britannica offre una delle prove in assoluto più convincenti della sua carriera), Colette non riesce mai davvero ad appassionare e coinvolgere al livello che ci si aspetterebbe. Nonostante sia il centro assoluto del film, infatti, il rapporto tra Colette e Henry Gauthier-Villars rimane sostanzialmente in superficie: le dinamiche psicologiche che guidano le azioni dei due personaggi principali non vengono mai davvero approfondite. Ne risulta dunque un racconto che intrattiene piuttosto piacevolmente senza però essere in grado di stimolare nello spettatore una vera e propria riflessione sulle difficili condizioni della donna nella società parigina a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento.