Chi di voi non ha mai comprato qualcosa online? O anche venduto, diventando di fatto un vero e proprio rivenditore, seppur nel suo piccolo? Dietro la pratica di smerciare oggetti su internet c'è chi ha costruito vere e proprie fortune, inventandosi un lavoro tutto nuovo. Certo bisogna avere fiuto per gli affari, capire quando e come trovare in offerta delle vere e proprie occasioni per poi rimetterle sul mercato del web ad un prezzo rialzato, in modo da guadagnare sulla differenza.

Quello che per il singolo utente può sembrare una cosa da poco, per chi si approccia a questo reselling si trasforma in una vera e propria operazione a scopo di lucro: se infatti l'illecito è schivato, il rischio di sfruttare - anche involontariamente - l'inesperienza di chi si disfa delle sue proprietà può apparire come una sorta di inganno, più o meno in malafede, e proprio su questa singolare premessa si basa Cloud, l'ultimo film del regista giapponese di culto Kiyoshi Kurosawa.
Cloud: il colore dei soldi

Conosciamo il protagonista Ryusuke Yoshii mentre sta acquistando dei macchinari medici da un'attività prossima alla chiusura, al prezzo modico di 90.000 yen. Ma dalla successiva vendita l'uomo, un trentenne che vive in un piccolo appartamento, ottiene quasi sei milioni. Forse proprio per via di quella mossa riuscita, decide di licenziarsi dal per lui sfiancante lavoro in fabbrica per tentare di basare il suo business su quella redditizia pratica. Dopo aver snobbato un'offerta di collaborazione da parte di un suo conoscente, Yoshii decide di trasferirsi in una casa di campagna, in compagnia della fidanzata Akiko.
Lì spera di trovare la giusta tranquillità per trascorrere ore e ore davanti allo schermo del computer, ma non soltanto, anche per sfuggire a dei nascenti demoni. Quando si trovava ancora a Tokyo infatti aveva cominciato a soffrire di un senso di crescente paranoia, che paradossalmente finisce per amplificarsi anche ora nella nuova dimora, per via di alcuni episodi minacciosi a suo danno. E ora Yoshii scoprirà come tutto abbia un prezzo da pagare...
Nel cuore dell'incubo
Solo in apparenza può apparire un film a due velocità, con la prima parte che ci accompagna nei meandri del web e nelle logiche di quest'economia fluttuante e la seconda che si tinge di note crime e noir, che tanto ricordano almeno nelle dinamiche base un altro grande cult del regista quale l'originale Serpent's Path (1998) e il suo recente e omonimo auto-remake in terra francese.

Le due ore e spicci di visione sono infatti un viaggio negli abissi dell'animo umano, dove le colpe rischiano di scatenare crimini ancora maggiori e ingiustificati, in un'apoteosi di oppressiva paranoia che catalizza ed esaspera i tipici stilemi del Cinema di Kurosawa, con tanto di epilogo dal taglio intimamente post-apocalittico che sembra voler omaggiare uno dei suoi grandi capolavori a sfondo horror, ovvero il mai troppo citato Kairo - Pulse (2001).
Una rete di inganni

In Cloud regna un'alienazione di fondo che colpisce chiunque, dalla quale nessuno può dirsi effettivamente indenne. L'obnubilamento di ciò che avviene attorno, con i fuori campo a sottolinearne ulteriormente la latente emersione, viene soggiogato dalle logiche, a tratto spietate, del mercato web e ben presto la monotonia della routine deve fare i conti con l'ineluttabile contrappasso, in un crescendo di inquietudine che trova adeguato sfogo nel succitato terzo atto.
Un'atmosfera ansiogena che proprio negli archetipi della paura trova la sua via tensiva, con quel senso di attesa che viene progressivamente sostituito da una serrata resa dei conti, nei quali il protagonista non potrà fidarsi di niente e di (quasi) nessuno, in quella che diventa a conti fatti una disperata lotta per la sopravvivenza.
Ciò che è virtuale diventa drammaticamente reale, in una dicotomia via via sempre più ambigua che riflette sulla (im)morale di una società, almeno agli occhi esterni, basata sul rispetto delle regole e delle persone come è - o appare - quella nipponica. E così il senso della vendetta e del relativo, potenziale, perdono assume derive ancor più stratificate e dove giusto e sbagliato si trovano a collimare in uno spazio racchiuso e limitato, in attesa di quella fine del mondo che da privata si fa metafora di una globalità assoluta, consumata dal dio denaro e ad esso destinata a soccombere.
Conclusioni
Un acuto specchio dell’animo umano e dei meccanismi del mercato digitale. Kiyoshi Kurosawa trasforma l'apparentemente ordinario atto di vendere e comprare online in una metafora inquietante ed esistenziale, dove ogni transazione cela il prezzo di una fiducia infranta e l'amara realtà del profitto a spese dell'altro. A una parte più riflessiva ma già carica di sinistre inquietudini in divenire, fino a momenti di apocalittica paranoia e ad una resa dei conti che - perdonateci il gioco di parole data la premessa - non fa sconti di sorta, Cloud ci ricorda che ciò che è virtuale può assumere risvolti drammaticamente reali, in un mondo dominato dalle logiche economiche e dove per essere bisogna anche avere.
Perché ci piace
- Atmosfere inquiete e affascinanti.
- Una sceneggiatura che riflette prima di agire.
- Solido cast.
- Tensione alle stelle.
Cosa non va
- Il nichilismo di fondo non è per tutti.