Con la recensione di Clint Eastwood: A Cinematic Legacy, documentario presentato fuori concorso al Torino Film Festival in concomitanza con l'arrivo nelle sale italiane del nuovo lungometraggio del regista, si va a scavare nella carriera di un cineasta che da cinquant'anni è parte integrante della macchina hollywoodiana, quasi sempre in seno alla Warner Bros. dal 1971 a oggi. E difatti è proprio la major, che ha prodotto e distribuito 33 delle 39 regie di Eastwood, ad aver commissionato questo ritratto del divo, che in patria è stato messo a disposizione sulla piattaforma HBO Max in nove parti, ciascuna di durata inferiore ai 20 minuti, mentre a livello internazionale ci sono state strategie ibride: al Festival Lumière di Lione, dove è stato reso omaggio al cineasta, singoli episodi accompagnavano i film di cui parlano, mentre a Torino è stato proposto un unico montaggio di 135 minuti. Approcci diversi per raccontare il percorso di una firma fondamentale del panorama cinematografico statunitense.
Il cavaliere pallido di Hollywood
Clint Eastwood: A Cinematic Legacy opta per una struttura tematica anziché cronologica, anche forse per aggirare il fatto che la committente del progetto non abbia contribuito ai primi cinque film da regista del diretto interessato (la Warner è subentrata alla Universal a partire da Il texano dagli occhi di ghiaccio, ed è rimasta fedelmente al fianco di Eastwood per tutti i lungometraggi successivi a eccezione di Changeling). Si passa dall'attività registica in generale alla fase Western, dai film a carattere storico al rapporto con gli attori, coprendo ogni aspetto possibile di una carriera molto variegata. Una carriera evocata da colleghi e collaboratori, questi ultimi sparsi lungo i decenni, da John Milius (che contribuì al franchise di Dirty Harry) a esempi più recenti come Bradley Cooper e Tom Hanks. Tante testimonianze per rendere omaggio a un cineasta instancabile: all'età di 91 anni ha portato in sala la sua fatica più recente, Cry Macho - Ritorno a casa, contenente l'ennesima performance crepuscolare e in parte autoriflessiva.
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Omaggio sincero ma schematico
La regia del progetto è di Gary Leva, che negli ultimi anni si è fatto notare nel campo del making of, firmando varie featurette che accompagnano le edizioni home video di vari titoli, tra cui molti della Warner e diversi di Eastwood (le prime collaborazioni risalgono al 2008, quando ci fu la riedizione dei cinque film dell'ispettore Callaghan, e alcuni contributi sono riciclati da quei vecchi bonus). Complice il fattore HBO Max, l'impressione è un po' quella di avere tra le mani un contenuto extra glorificato, che contiene dettagli interessanti ma ha un approccio troppo scolastico e sintetico, come suggerisce la durata dei singoli contenuti nella forma originale del documentario. Di per sé sarebbe un omaggio pertinente alla carriera di Eastwood, i cui film vanno dritto al sodo, senza fronzoli. Ma la sua è un'asciuttezza che non va scambiata per superficialità, soprattutto nel contesto in cui è stato realizzato questo ritratto, per celebrare cinque decenni dietro la macchina da presa. Un'impresa titanica che merita ben più di due orette, per quanto simpatiche e ben costruite.
Conclusioni
Chiudiamo la recensione di Clint Eastwood: A Cinematic Legacy, sottolineando come si tratti di un documentario scorrevole ma schematico che ripercorre tramite nove percorsi tematici i cinquant'anni di attività registica del grande cineasta americano.
Perché ci piace
- Le interviste sono per lo più interessanti.
- La carriera di Clint Eastwood è un soggetto ricco di spunti intriganti.
Cosa non va
- La durata esimia dei singoli percorsi tematici rende abbastanza superficiale l'intera operazione.