Nella prossima stagione televisiva lo ritroveremo al timone di Zelig, un'edizione rinnovata e più compatta di tre puntate. Nel frattempo Claudio Bisio si prepara a debuttare anche come regista con L'ultima volta che siamo stati bambini, film tratto dall'omonimo libro di Fabio Bartolomei, prodotto e distribuito da Medusa Film. Al Bct, Festival del Cinema e della Televisione in programma a Benevento dal 12 al 17 luglio, l'attore è il protagonista di un incontro che ripercorre i suoi quarant'anni di carriera. Un viaggio iniziato dal Piccolo di Milano, proseguita tra teatro, cinema e televisione dopo il debutto con Salvatores in Sogno di una notte d' estate nel 1981. Forse allora non avrebbe mai immaginato che uno spettacolo dopo l'altro sarebbe anche arrivato il momento dell'Oscar con Mediterraneo nel 1992, e tanto altro ancora. Ma in fondo, ci dice "è stato tutto molto facile".
Dagli esordi a Zelig
Quasi quarant'anni di carriera. Che film è stato a riguardarlo ora?
Quarantadue per la precisione! Niente di regalato, tutto conquistato con fatica ma non in maniera esasperata. Non ho avuto troppe delusioni, sento colleghi spesso lamentarsi dei provini, adesso ci sono i self tape, che orrore... Non lo so, magari è giusto così. A me non è mai capitato di farne uno, sono stato fortunato, ho fatto pochissimi provini di film che poi non ho fatto, ma erano più simili a degli incontri. Con Federico Fellini ad esempio a Cinecittà: stavo a Milano, il mio agente mi chiama per un "appuntamento" e io vado. Entro in questa stanza, ero emozionatissimo, lui mi guarda, disegna e mi chiede un po' di cose non sul ruolo però, poi mi saluta. Non mi ha mai più chiamato. Anche con Salvatores è andata così, senza provini. Alla scuola del Piccolo di Milano avevamo fatto un saggio di fine anno, portavamo in scena Rocky Horror Picture Show, lui aveva bisogno di qualcuno che ballasse e cantasse, venne a vederci e mi scelse. Sapevamo che quella sera ci sarebbe stato Salvatores, quindi fu come fare un provino. Tutto quello che ho fatto, dalla tv al cinema, è venuto dal teatro.
Mediterraneo: quando Salvatores ci indicò una via di fuga
Se dico Paolo Rossi, Salvatores, Zelig e Rocco Tanica, cosa ti viene in mente?
Sono l'esordio di tutto, dal teatro fino al cinema. Poalo Rossi è un grande compagno di viaggio, l'ho sempre definito fratello maggiore, era la nostra punta di diamante. In Comedians era il nostro attaccante, il bomber, una squadra di undici persone in cui io ero il terzino destro. Mi ha insegnato molto e oggi siamo davvero amici. Rocco Tanica è stato l'unico a farmi cantare, un genio; Rapput fu un successo inaspettato dell'estate di ormai trent'anni fa, poi abbiamo fatto tanti spettacoli insieme, l'ho chiamato anche per la colonna sonora di Asini. Zelig per me sono Gino e Michele, Giancarlo Bozzo, li ho appena sentiti perché stiamo facendo dei provini visto che lo rifaremo ancora.
Una riconferma dopo la reunion dello scorso anno...
Quella dell'anno scorso era un decennale, era un decennio che né io né Vanessa lo facevamo insieme e quindi è stato veramente un ritrovarsi dopo tanto, tanto tempo con grandi vecchi e qualche novità dal mondo della stand up comedy. Questa volta sarà un'edizione sobria di tre puntate, se penso che ai tempi ne facevamo anche quindici, forse troppe, e alla fine eravamo distrutti, anche il pubblico dopo un po'. Invece tre puntate è il giusto. Come mi ha insegnato Dario Fo "la gente deve alzarsi dalla poltrona che ha ancora appetito". Ci saranno, speriamo, tutte persone nuove.
L'arte del comico e la crisi della sala
Anche al cinema non si è risparmiato: dal sodalizio con Salvatores a Monicelli, Risi e poi la commedia contemporanea. Cosa significava fare il comico in quegli anni e cosa vuol dire farlo oggi? La comicità è cambiata tanto?
Sì e no. Sì, perché ci sono nuovi strumenti come i social, c'è Youtube, spesso si contano più i follower che non gli spettatori a teatro, a volte coincidono a volte no. Fra dieci anni ci saranno ancora altri modi di far ridere, ma per l'altro verso non credo che la comicità sia cambiata molto, con vari stilemi e declinazioni del comico come ci sono sempre state e ci sono ancora tutt'oggi: c'era il trasgressivo, c'era quello borghese, il politically correct, lo scorretto, c'era quello che parlava di sé, quello che parlava degli altri, Dario Fo, Jannacci. Sono mutati gli strumenti coi quali ci si approccia al pubblico, ma la comicità non è cambiata più di tanto: per far ridere devi sempre toccare qualcosa nello spettatore, stupirlo, andare oltre, che non necessariamente vuol dire la parolaccia.
Le manca qualcosa di quel periodo?
Non rimpiango il passato. Ho trovato altri stimoli, per esempio al cinema, Benvenuti al sud del 2009, ma anche Si può fare. Con gli anni credo di essere migliorato come attore, per cui amo di più rivedermi, anche se in generale non amo farlo, nei film più recenti che in quelli passati, dove non dico che non mi riconosco, ma insomma vedo più i difetti che i pregi.
Il Covid ha acuito la crisi della sala in Italia. Da artista, cosa bisognerebbe fare secondo te per riportare il pubblico al cinema fuori dal salotto di casa?
Ci sono delle lotte impari. All'inizio io stesso dicevo, "ma vuoi mettere la qualità di una sala con il monitor di un televisore?". Oggi ci sono dei televisori al plasma, io per esempio ho un proiettore 4K, surround, una piccola sala cinema: tecnicamente i moderni home theatre sono di qualità elevatissima. Non è più questo il problema e poi ci sono le piattaforme che non disdegno, piuttosto non tollero chi vede film su un cellulare in treno. Con il lockdown abbiamo cambiato le nostre abitudini, anche io ho iniziato a vedere cose che non avevo mai visto in vita mia, mi sono appassionato a serie come Peaky Blinders.
Ma amo la sala come esperienza di condivisione, o anche solo per sentire il fastidio di uno che mangia i pop corn accanto! Non c'è un trucco per far riaffezionare la gente alla sala, ma una linea che tutti dovremmo seguire, quello sì, come ad esempio fare film che sappiano stupire, creare l'inaspettato. E poi ci sono gli eventi: gli esercenti più virtuosi, e ce ne sono tantissimi, fanno vivere la sala con dibattiti, incontri con registi e attori. Bisogna ricreare l'abitudine di andare in quel luogo dove c'è stata quella o quell'altra cosa, così viene anche la voglia di vedere un bel film. Sarà che sono un ottimista, ma non è detto che la sala e la casa si cannibalizzino, a me ad esempio è capitato di vedere il film Ennio al cinema e di rivederlo poi a casa, perché era bellissimo, magari al cinema due volte non ci vai. Siamo noi italiani ad avere un problema, perché poi Top Gun o Thor vanno ancora bene. C'è bisogno di spremersi le meningi senza fare l'errore di inseguire gli americani perché perderemmo, dobbiamo emozionare o far ridere e mi sento di fare anche un po' di autocritica, perché di recente ci sono state spesso una serie di commedie un po' tutte uguali e prevedibili. Insomma, proviamoci!