City Hall, recensione: Frederick Wiseman ritorna a casa

Recensione di City Hall, il nuovo documentario di Frederick Wiseman, presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2020.

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City Hall: una foto del film

Scrivere la recensione di City Hall significa fare i conti con quella che forse è stata la più grande certezza, in un anno incerto, della 77. Mostra Internazionale d'Arte Cinematografica di Venezia 77: la presenza, nella selezione ufficiale, di Frederick Wiseman, il decano del documentario americano che da diversi anni è uno dei nomi ricorrenti nel programma del festival cinematografico più antico del mondo. In particolare, sotto la direzione di Alberto Barbera, e nello specifico il cosiddetto "Barbera bis" iniziato nel 2012, Wiseman è stato selezionato cinque volte, di cui una in concorso (nel 2017), e nel 2014, anno in cui ha "tradito" la Mostra scegliendo di andare a Cannes, è stato premiato con il Leone d'Oro alla Carriera. La presenza del suo lungometraggio più recente è quindi indicativa di quanto, nei limiti del possibile, sia stato fatto il tentativo di mettere in piedi un'edizione non troppo dissimile dal normale. E chi non si è lasciato intimidire dalla durata del progetto - 275 minuti, ossia poco più di quattro ore e mezza - ha avuto modo di lasciarsi conquistare, ancora una volta, dalla disarmante semplicità del cinema di Wiseman.

Ritratto di una città

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City Hall: un'immagine del film

Come suggerisce il titolo, City Hall parla di un municipio, e delle attività a esso legate. Per l'esattezza, è il municipio di Boston, città natale di Frederick Wiseman, e al suo interno troviamo colui che è il vero "protagonista" dell'operazione: Martin J. Walsh, sindaco dal 2014. Di origine irlandese, e quindi perfettamente consapevole delle discriminazioni che esistono per coloro che sono considerati "diversi", egli si impegna per far sì che tutti abbiano la possibilità di vivere in modo dignitoso, che si tratti dei veterani di guerra con traumi irreparabili o di pensionati che devono fare i conti con il prezzo esorbitante dei medicinali (e questa è solo una parte delle sue iniziative: il film non lo mostra, ma Walsh è noto anche per aver messo a disposizione il proprio ufficio come rifugio notturno per i minorenni privi di documenti).

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City Hall: una sequenza del film

Per quattro ore assistiamo a ciò che i vari dipartimenti che rispondono direttamente a Walsh stanno mettendo in atto per migliorare la vita dei cittadini, perché nel titolo c'è anche la parola city, e così si passa dalla semplice analisi di un'istituzione a un vero e proprio ritratto completo di una città, dove Wiseman torna dopo anni di assenza. Probabilmente è errato parlare di film-testamento, ma c'è senz'altro un che del ritorno a casa, a più di cinquant'anni dagli esordi. Guarda caso, Walsh è coetaneo del film che consacrò il cineasta nel 1967, Titicut Follies, e la nozione del tempo che passa è espressa anche da un segmento su una proposta di legge da parte delle alte sfere di Washington che danneggerebbe cinque decenni di progresso legato ai diritti civili.

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Uguale ma diverso

Ex Libris: New York Public Library, Frederick Wiseman in un'immagine promozionale
Ex Libris: New York Public Library, Frederick Wiseman in un'immagine promozionale

L'approccio di Wiseman è sempre lo stesso: sta in disparte, senza intervenire in prima persona, e per un mese e mezzo circa segue le persone che gli interessano, costruendo poi un film che ha dei fili conduttori anche in assenza di una vera e propria trama. In questo caso c'è una struttura più marcatamente classica, tramite la figura di Walsh, e per gli appassionati di serialità televisiva è possibile individuare una sorta di parentela spirituale con The Wire, il grande affresco di una città - Baltimora - che si celava sotto le mentite spoglie di un serial poliziesco, andando a toccare un argomento specifico, dalla politica al sistema scolastico, in ogni stagione. Quello che David Simon ha raccontato con i meccanismi della fiction in cinque stagioni Wiseman lo fa in quasi cinque ore, aderendo al reale e partendo dalla sua solita analisi di istituzioni ben identificate per poi arrivare a un ritratto, magnifico e struggente, di una città, la sua città, che lotta per la sopravvivenza e cerca di fare la differenza in una nazione votata alle lotte intestine. E così, sempre a suo modo, il cineasta realizza un altro tassello di quel puzzle che è la sua visione dell'America, evocando più esplicitamente del solito la portata nazionale di ciò che sta osservando quando Walsh in un discorso dice "Non è ancora finita, la città ha bisogno di noi, e anche il paese." Parole a dir poco profetiche alla luce di quanto accaduto dall'inizio del 2020, nel mondo ma soprattutto negli USA, e la dimostrazione, l'ennesima, di come Wiseman, alla tenera età di 90 anni, rimanga il più attuale tra coloro che raccontano gli Stati Uniti oggi.

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Conclusioni

È con una certa gioia che arriviamo in fondo a questa recensione di City Hall. Gioia perché abbiamo ritrovato Frederick Wiseman, il decano del documentario americano, che con il suo nuovo lungometraggio torna a raccontare una nazione - attraverso il municipio della città di Boston - con lucidità ed empatia.

Movieplayer.it
4.5/5
Voto medio
N/D

Perché ci piace

  • La struttura tipica dei documentari di Wiseman non si lascia divorare dalla figura centrale di Martin J. Walsh.
  • L'esplorazione delle varie sfaccettature amministrative di Boston è affascinante.
  • Il ritratto dell'America che emerge dal film è attuale e a tratti straziante.

Cosa non va

  • La durata può mettere alla prova gli spettatori impazienti.