Posti in piedi in paradiso non ha forse la carica di comicità, né la vena sottilmente malinconica, degli episodi più riusciti di una carriera ormai più che trentennale come quella di Carlo Verdone: tuttavia, questo nuovo episodio della filmografia dell'attore/regista romano risulta un tentativo interessante, anche se non sempre equilibratissimo, di affrontare la crisi economica che ci attanaglia, da un punto di vista diverso dal solito, legandola a temi come il divorzio e gli affetti familiari. Tutto, ovviamente, in chiave di commedia, com'è logico quando si parla di Verdone, con comprimari di livello come Pierfrancesco Favino, Marco Giallini e Micaela Ramazzotti.
Il film è stato presentato da regista e attori in un breve ma interessante incontro tenutosi coi giornalisti romani, presso la sede dell'Auditorium di Santa Cecilia.
Proprio in questi giorni si sta parlando di divorzio, tema trattato dal suo film. Qual è la sua posizione su questa pratica, considerata anche la sua attuale esosità economica?
Carlo Verdone: Affrontando il tema, non volevo far pendere troppo la bilancia dalla parte maschile, anche se spesso le sentenze nei confronti dei mariti sono molto severe. Pensavo comunque che la cosa migliore fosse fare semplicemente la cronaca di 30 giorni di convivenza, con le conseguenti situazioni che si sviluppano. La penalizzazione nei confronti degli uomini spesso c'è, e me ne accorgo leggendo le lettere di padri separati: ci si accorge che il dolore più grosso è quello di poter vedere poco i propri figli, e poi c'è anche un problema economico su cui non ci si sofferma abbastanza. E' una reale emergenza sociale, una nuova categoria di poveri. Riguarda sì il nostro paese, ma anche un po' il mondo occidentale in genere.
Nel film c'è l'elemento della fratellanza maschile, tra persone che non hanno quasi nulla in comune: il risultato è divertente ma anche molto reale, con elementi molto seri. Come ci avete lavorato? Carlo Verdone: E' stato un film in cui tutto il cast ha avuto un grande senso della misura, senso della misura che d'altronde era già presente nella scrittura. Volevamo circoscrivere le parti comiche solo allo scontro nella convivenza tra personalità diverse;
quando i tre escono dalla casa, vengono fuori i rapporti con i figli, le mogli, ecc. Lì la comicità si stempera e si va nella realtà; abbiamo cercato di capire dove era il caso di far ridere e dove di far riflettere. Nello stesso finale, si delega alle nuove generazioni l'andamento del futuro: quei ragazzi, incredibilmente, sono più maturi dei loro genitori. Anche la saggezza femminile nel ruolo della Ramazzotti ha il suo peso. Mi piacerebbe che questo film facesse riflettere qualche coppia su quanto sono disastroso è il protrarsi di questi conflitti, sia per i genitori che per i figli. Il compito della commedia può essere anche quello di affrontare una realtà complessa, e nei casi più riusciti la commedia può raccontare le tragedie meglio dei film drammatici. Credo che i film più importanti che hanno toccato certi temi siano commedie.C'è una sua generosità attoriale nel fare un passo indietro, col suo personaggio, e dare degli assist a un attore come Giallini e alla straripante cialtroneria del suo personaggio. Carlo Verdone: A un certo punto della propria carriera questo diventa un atto dovuto, non una resa; magari mi prendo una parte un po' più dolente, depressiva, ma è più giusto che il ruolo del mattatore sia affidato ad altri. In questa fase, poi, è normale che io condivida la luce dei riflettori con altri attori. E' giusto che ci sia una coralità, perché arriva un momento in cui ti annoi anche a fare il solista.
E' un po' ironica la figura del critico cinematografico che si riduce a fare il giornalista di cronaca rosa. Com'è nata questa idea? Carlo Verdone: Quando è arrivato il momento di trovare una professione al personaggio di Favino, abbiamo pensato a un giornalista, e lui ha subito detto "di cinema". Era una cosa originale, per non presentare il solito personaggio borghese del giornalista di cronaca. Tra l'altro ho dovuto eliminare una parte del copione, in cui lui veniva fermato da un regista a Villa Pamphili e veniva insultato per una cosa che aveva scritto sul suo film: era divertente e mi è dispiaciuto toglierla, ma con un montaggio finale di due ore e un quarto ognuno dei personaggi ha dovuto sacrificare qualcosa.
Il senso del titolo è che anche in paradiso si finisce a stare in piedi? Carlo Verdone: Il paradiso è talmente pieno di poveri cristi, e i miei personaggi sono talmente sfortunati che troveranno solo posti in piedi. Avevo l'idea del paradiso, per il titolo, perché lo vedevo come espressione di un momento di rilassamento, di riposo dopo una vita frenetica; l'idea dei "posti in piedi" mi è venuta quando ho visto la cassiera di un cinema che, una volta riempitasi la sala, ha urlato "solo posti in piedi!". Tra l'altro ha sbagliato, doveva dire piuttosto che i posti erano finiti, visto che al cinema non è più consentito stare in piedi. Da quell'errore è venuto il titolo del film. E poi, casualmente, il cinema era l'Eden di Roma: tutto torna!Guardando Giallini e il modo in cui è vestito, viene un po' in mente il comandante Schettino... Carlo Verdone: No, vabbè, Schettino era vestito peggio! Comunque personaggi come lui hanno una specie di divisa, lui veste in maniera old fashion, un po' da cazzaro. Quel buco nel calzino che si vede su quel completo spezzato ti racconta molto del personaggio: è diverso dagli altri due.
Favino, in questa annata lei ha affrontato spesso temi collegati alla realtà, all'attualità. Quanto, da attore, le piace affrontare questo tipo di soggetti?
Pierfrancesco Favino: Sono molto contento che il cinema abbia il coraggio di prendere a piene mani dall'attualità: noi innanzitutto osserviamo ciò che ci sta intorno. E' bello che vari registi, nelle loro diversità, tornino a prendere a lo spunto per i loro film dalla realtà.
Micaela Ramazzotti: Io mi sono sentita in una di quelle storie che ci dicono chi siamo, che ci fanno ridere e sognare. Lei è una persona che porta nella vita di Carlo gentilezza e amore, e lui l'ascolta. Questa ragazza così buffa, un po' frivola, riesce nonostante tutto a portargli saggezza.
Alla fine dell'incontro, l'attore/regista ha chiuso con una nota di sottile nostalgia ma anche di orgoglio, ricordando il trentennale dall'uscita di uno dei film che gli diedero il successo, Borotalco: "Sono passati 30 anni da quando ho girato Borotalco: io a quell'epoca non pensavo davvero di poter durare così tanto, sentivo questo lavoro come precario, ero pronto a sfruttare la mia laurea per andare a lavorare all'università. Grazie a gente come Leo Benvenuti o Mario Cecchi Gori, che hanno creduto in me, ce l'ho fatta. E' un momento davvero emozionante ritornare a quel passato, perché fare cinema per così tanto tempo è un privilegio che appartiene a pochi. Vorrei che questo fosse il primo film in cui si vede un po' di più il regista, e in cui il personaggio è un po' più sfumato, con toni più soffusi."