Il capofamiglia, la recensione: l'assurda storia del marito e padre (padrone) che diventò un pollo

La recensione de Il capofamiglia, film d'esordio del regista egiziano Omar El Zohairy che punta il dito contro la condizione femminile e il patriarcato.

Il capofamiglia, la recensione: l'assurda storia del marito e padre (padrone) che diventò un pollo

Nel buio del grande schermo udiamo delle urla disperate, seguite dal crepitio del fuoco. Solo qualche istante dopo, quando l'immagine si fa chiara, arriva la conferma di ciò che ci aveva suggerito l'udito: un uomo si è dato fuoco di fronte a una fabbrica. Il gesto di disperazione, seppur slegato (?) dal nucleo della storia, anticipa ciò che ci attende nella sporca e cupa cittadina mineraria, teatro della vicenda narrata dal debuttante Omar El Zohairy ne Il capofamiglia. Un non luogo che, nonostante le critiche piovute sul regista per la sua rappresentazione dell'Egitto odierno, non sembra avere una collocazione precisa.

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Il capofamiglia: Demyana Nassar in una scena

Altrettanto anonima è la casalinga interpretata con dedizione da Demyana Nassar. Sguardo basso, mento sul petto, capelli nascosti da un fazzoletto, di lei vediamo nuca, mani, schiena mentre è chinata a pulire, lavare, cucinare, cullare i tre figli, togliere polvere da scarpe da lavoro senza mai fermarsi. La scelta di non indicare mai il suo nome richiama la privazione dell'identità che il patriarcato arabo impone, confermato dal suo atteggiamento remissivo nei confronti del marito che ordina cosa mangiare, come comportarsi ed elargisce il denaro necessario per mandare avanti la famiglia estraendo banconote sudicie da una scatoletta di metallo ammaccata. Tutto cambia quando il marito viene trasformato in pollo da un sedicente mago ingaggiato per la festa di compleanno del figlioletto. La trasformazione, apparentemente irreversibile, costringerà la moglie a darsi da fare per tirare avanti la famiglia mentre cerca un modo per appianare i debiti, pagare l'affitto arretrato e prendersi cura del marito, che continua a creare problemi anche in forma aviaria.

La lotta silenziosa di una donna per l'emancipazione

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Il capofamiglia: una scena corale del film

Come sottolinea la recensione de Il capofamiglia, tutto e sporco e squallido intorno alla protagonista. Pareti, pavimenti, abiti - frutto del lavoro dello scenografo Asem Ali - appaiono logori, scrostati, macchiati e fuligginosi. Di tanto in tanto nuvole di fumo nero irrompono in casa dalla finestra, a indicare l'estrema vicinanza con la fabbrica che dà lavoro e nutrimento ma che, al tempo stesso, rappresenta una forma di schiavitù. La stessa schiavitù delineata nel rapporto che lega marito e moglie in questa pungente rappresentazione satirica della società egiziana.

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Il capofamiglia: un primo piano di Demyana Nassar

Col suo stile aspro e asciutto, la sua propensione per le simmetrie e i suoi piani fissi, Omar El Zohairy restituisce il senso della drammaticità della condizione umana in un film che sacrifica la parola privilegiando l'immagine, invitando lo spettatore a scrutare con attenzione ciò che gli viene proposto per farsi una sua opinione. Il capofamiglia mette in scena la lotta silenziosa di una donna per l'emancipazione in una società cieca e sorda ai suoi bisogni, in un mondo privo di compassione. Di fronte all'ottusità delle istituzioni, all'avidità di medici e veterinari e alle ingiuste regole imposte dal padrone della fabbrica, che non ammette le donne, ma accetta che vengano assunti bambini piccoli, l'unico conoscente pronto a tendere una mano non nasconde il suo secondo fine. Niente viene fatto per niente.

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La forza dello stile

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Il capofamiglia: una scena del film

A rendere ancor più efficace la denuncia contro il patriarcato e le ingiustizie sociali contenuta ne Il capofamiglia è il tono del film, che oscilla tra l'ironico e il surreale. Di fronte alle insormontabili difficoltà che la moglie è chiamata ad affrontare, basta spostare lo sguardo sul pollo che razzola sul lenzuolo del letto matrimoniale o giace agonizzante a zampe in aria dopo aver mangiato troppo per cogliere il lato umoristico della situazione. La stessa mancata spiegazione logica per la trasformazione magica finita male viene accettata con rassegnazione dagli abitanti del villaggio, che non restano più stupiti più di tanto dalla faccenda, derubricandola a un evento del quotidiano come gli altri.

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Il capofamiglia: una scena corale del film

Come un Aki Kaurismaki arabo, Omar El Zohairy non si affanna a spiegare, ma mette il pubblico di fronte a piccoli e grandi drammi concentrandosi sulla condizione tragicomica dell'esistenza umana. A differenza di quanto mostrato nella tv sgangherata perennemente accesa, il suo Egitto non ha niente del mondo chiassoso e colorato con cui siamo soliti dipingerlo, ma ha le sembianze di una cittadina distopica post-atomica e desertica che occhieggia a Max Max. La costruzione della location, unita allo stile di regia rarefatto e simbolico e al passo lento, permettono a El Zohairy di settare il tono del film intensificandone l'impatto sul pubblico. Il risultato è un'opera prima sorprendente ed efficace, impreziosita da un finale più che soddisfacente nella sua agghiacciante cattiveria.

Conclusioni

La recensione de Il capofamiglia evidenzia le grandi qualità di un'opera prima sorprendente ed efficace che sfrutta uno stile visivo lucido e simbolico, in cui l'immagine domina sulla parola, per denunciare la condizione di patriarcato in cui vivono le donne egiziane dei ceti più bassi. L'ingiustizia sociale viene veicolata da una pellicola spiazzante e surreale che contiene trovate sorprendenti.

Movieplayer.it
3.5/5
Voto medio
3.5/5

Perché ci piace

  • È un'opera prima spiazzante.
  • La compenetrazione tra storia e stile visivo, che ci pongono di fronte a un film stratificato e ricco di simbolismi.
  • L'incredibile lavoro scenografico e fotografico su interni ed esterni.

Cosa non va

  • Occorre un po' di tempo, e forse almeno una revisione, per cogliere appieno la ricchezza e profondità del film.