Affascinato dai risvolti sociologici e dal potere dei social network e voglioso di omaggiare i grandi classici del cinema horror cannibalesco italiano, il regista di Hostel e Hostel: Part II torna dietro la macchina da presa per dirigere quello che è da lui stesso è stato definito un moderno film sui cannibali capace di parlare ai giovani e di far conoscere loro il cinema italiano degli anni '70 e '80 mostrando al contempo loro quanto è importante agire quando si è mossi da una convinzione profonda. Accompagnato dalla bellissima attrice Lorenza Izzo, protagonista principale del film nei panni di una studentessa che si unisce al gruppo di attivisti quasi esclusivamente per curiosità, Eli Roth è arrivato a Roma per raccontarci i retroscena e le curiosità su The Green Inferno, il suo nuovo controverso lavoro che uscirà in tremila copie in tutto il mondo ed in Italia nel 2014 grazie a Koch Media.
Cosa l'ha spinta a realizzare un film come questo che omaggia i cannibal-movies italiani? Com'è sbocciata questa grande passione?Eli Roth: Sono cresciuto a pane e fino di Dario Argento, Lucio Fulci, Mario Bava e Luciano Martino, ho visto tutti i loro film, o almeno tutti quelli che sono arrivati negli Usa. Quello fu il mio primo contatto con il cinema italiano e con quei film ho scoperto che nessuno al mondo è bravo come gli italiani a portare la violenza sul grande schermo. Quando vidi per la prima volta Cannibal Holocaust pensai che era talmente realistico che Ruggero Deodato avrebbe potuto essere persino arrestato per quelle scene (ride). E' un film molto potente che non solo ha fatto scalpore ma ha anche creato un genere nuovo che nessuno aveva mai visto prima utilizzando la tecnica della fiction documentaristica. Cosa la affascina di più di questi film?
All'epoca in cui vennero prodotti e distribuiti erano concepiti dal pubblico come il peggior modo di realizzare un horror, Cannibal Ferox e Cannibal Holocaust erano considerati i capisaldi di un cinema pericoloso ed estremo. E' forse questo che mi ha spinto a diventare un regista di genere, non mi piace l'idea di fare film stando seduto sulla mia bella poltrona come fanno tanti registi, ed è forse per questo che stavolta ho voluto anche io superare i miei limiti e spingermi oltre ancora una volta. Con The Green Inferno sono riuscito a portare il cinema italiano di genere ormai scomparso nella Foresta Amazzonica e di questo vado veramente molto fiero. Quali sono secondo lei le differenze principali tra quei film e The Green Inferno?
Non era mio intento realizzare un film in stile anni '70, volevo che il mio film fosse proprio mio, che avesse la mia estetica e la mia visione di questi argomenti. Il film di Deodato era un film incentrato sul sentimento della violazione, c'erano degli intrusi che si inserivano in un contesto completamente avulso dal mondo civilizzato, sotto un certo punto di vista erano loro i mostri. C'era in essi l'estetica realistica ma anche uno stile documentaristico molto forte, per questo alla fine il film perde il controllo di sé e si infila in una dimensione del tutto caotica. Il mio, se vogliamo, può essere definito anche come un film d'avventura, in parte ne ha le caratteristiche. Nel suo film analizza il fenomeno dello slacktivism (in italiano potremmo tradurre l'espressione con "l'attivismo dei fannulloni" ndr). Come le è venuta l'idea di usare questo sottotesto come pretesto per raccontare l'avventura macabra di un gruppo di ragazzi alle prese con i cannibali?
Mentre scrivevo il film mi è capitato di porre lo sguardo sul fenomeno virale creato da Invisible Children con l'obiettivo di catturare e processare il pericoloso criminale di guerra ugandese Kony, e mi è capitato anche di analizzare il fenomeno dei movimenti di occupazione che si stavano diffondendo attraverso i social network. Molti dei giovani che fanno parte di questi movimenti non sembrano essere veramente convinti di quello che fanno, per molti è più un passatempo, un modo di dimostrare a loro stessi e agli altri di avere un ruolo attivo in qualcosa di importante. In qualità di protagonista femminile di un film così macabro, ci racconta come è stato per lei trovarsi nuda in mezzo alla foresta amazzonica con un'orda di cannibali pronti a mangiarla? Lorenza Izzo: Prima dell'incontro con Eli non conoscevo nulla di tutto ciò, la lavorazione del film è stata complicata perché siamo stati molto tempo nella giungla senza alcun contatto con il mondo esterno, senza cellulari, senza elettricità e senza comodità. Ho imparato molto da questa esperienza e da questa gente che nella vita normale si veste e non va in giro come vengono mostrati nel film. Conducono una vita molto semplice ma molto più appagante della nostra. Se confrontiamo questo film con Hostel e Hostel II possiamo trovare molti punti di contatto: il viaggio inteso come pericolo, il poco rispetto nei confronti della cultura straniera, la facilità con cui si può finire oggi nelle mani delle persone sbagliate... Il suo è un modo bizzarro per consigliarci di rimanere a casa? Eli Roth: Ci provo a scrivere cose diverse, ma ogni volta che mi metto davanti ad una nuova sceneggiatura mi rendo conto che torno a scrivere una storia simile alla precedente. Ragazzi privilegiati e viziati senza sogni nella vita, che insultano la cultura straniera e che affrontano viaggi senza essere troppo convinti di quello che vogliono fare. Sarà che mi sento cittadino del mondo e che da giovanissimo ho fatto tanti viaggi in tutto il mondo godendo fino all'ultimo minuto di quello che l'esperienza lontano dalla mia casa e dai miei genitori mi poteva offrire in termini di maturazione. Odiavo i discorsi dei miei compagni di scuola che erano capaci solo di lamentarsi senza neanche aver mai messo il naso fuori dalla loro cittadina. Il suo può essere visto quindi un po' come un atto di ribellione contro la pigrizia delle giovani generazioni di oggi?
Sono un uomo molto curioso, mi piace pensare che in qualsiasi parte del mondo può nascondere dei pericoli inaspettati, puoi ritrovarti a dire la cosa sbagliata alla persona sbagliata e in un secondo sei fottuto (ride). Quando sei giovane, ricco e americano ti illudi che nessuno possa mai toccarti ma questo è un pensiero folle perché dobbiamo sempre mettere in conto il fatto di doverci comportare nel modo giusto a seconda del posto in cui ci troviamo. Il mondo può essere un posto davvero pericoloso a volte...
Vedremo un sequel del suo film?
Siamo nel genere horror, c'è sempre la possibilità di almeno un sequel.