Cannibal Holocaust, come il falso documentario di Ruggero Deodato è diventato un seminale caso studio

Torna in sala Cannibal Holocaust, il capolavoro italiano del genere cannibal, brutale riflessione sulle derive animalesche della società civilizzata e sul corrotto potere mediatico, oggi più attuale e sconvolgente che mai.

Cannibal Holocaust, come il falso documentario di Ruggero Deodato è diventato un seminale caso studio

Peculiarità dei generi cinematografici è quella di seguire le tendenze sociali per rispondere alle esigenze del grande pubblico. Possiamo citare i film di propaganda bellica nel corso della Seconda Guerra Mondiale o anche l'esplosione dei monster movie per raccontare la paura del nucleare. Per questo i generi sono di natura popolare: perché nascono ed evolvono a seconda dalla richiesta di massa, seguendo un flusso artistico e creativo ben preciso fatto di tropi specifici sia a livello tematico che formale.

Luca Barbareschi in una scena di Cannibal Holocaust
Luca Barbareschi in una scena di Cannibal Holocaust

Anche i cannibal movie degli anni '80 rispondono certamente a queste regole, sfruttando il background socio-politico di quegli anni come massima ispirazione per estremizzare elementi visivi e contenutistici dei vari progetti sotto l'egida cinematografica del cannibalismo. Omicidi e diffusa violenza erano all'ordine del giorno in Italia tra la metà degli anni '70 e buona parte degli '80, soprattutto a causa del terrorismo delle Brigate Rosse, i cui attacchi cittadini e relative e sanguinose conseguenze venivano mostrate quotidianamente in televisione. Questo spinse registi nostrani come Umberto Lenzi o Joe D'Amato a rimodellare e ibridare insieme diversi tratti di generi differenti per crearne uno totalmente nuovo - il Cannibal per l'appunto -, il cui maestro più amato e riconosciuto è senza dubbio Ruggero Deodato, in particolare il suo Cannibal Holocaust, divenuto un seminale caso studio e adesso nuovamente in sala dal 21 al 23 agosto, in 4K e nella sua versione integrale grazie a Cat People Distribuzione.

Codificare un genere

Francesca Ciardi in una scena di Cannibal Holocaust
Francesca Ciardi in una scena di Cannibal Holocaust

Un titolo, Cannibal Holocaust, ancora oggi storico e fondamentale tanto per i cannibal movie quanto per il falso documentario miscelato al found footage. Di base è riconosciuto per essere stato il primo film horror a utilizzare la tecnica del "video ritrovato" all'interno di una narrazione di genere, ma più importante e capitale è il modo in cui Deaodato ha radicalizzato con perfetta attenzione gli elementi costitutivi dello stesso, in realtà settandone gli standard basilari e perfezionandolo. Imitando il prototipo snuff-erotico di Lenzi e D'Amato, l'autore confezionò nel 1972 Ultimo mondo cannibale, un prodotto ancora grezzo e fin troppo legato a sensibilità di generi differenti poco amalgamate tra loro, di certo non nella critica mediatica e di costume. Mentre uscivano film come Emanuelle e gli ultimi cannibali o La montagna del dio cannibale, così, Deodato cominciò ad affinare ai limiti della codificazione le componenti tecnico-artistiche primarie del genere in esame, tornando poi al cinema con Cannibal Holocaust nel 1980 e consegnando al mondo il suo massimo capolavoro, inteso come suo film più rilevante. L'opera è divisa in due parti ben distinte: la prima dove il Professor Harold Monroe (Robert Kerman) parte per l'Amazzonia alla ricerca di quattro giovani reporter estremi, inoltratisi pochi mesi prima nella foresta brasiliana per documentare vita e usanze delle tribù cannibali della zona.

Cannibal Holocaust: una scena del film
Cannibal Holocaust: una scena del film

La seconda, invece, dedicata alla visione del filmato girato dal gruppo di ragazzi e ritrovato da Monroe, alla ricerca dei motivi che li hanno portati a una terrificante morte, uccisi e mangiati da quelle stesse popolazioni che erano andati a studiare. In tutto ciò assistiamo a un susseguirsi di avventura, scene erotiche, esplorazioni della giungla amazzonica e violenza reale sugli animali - squartati, scuoiati o decapitati ancora vivi -, motivo che è costato a Cannibal Holocaust (ma anche ad altri prodotti simili) diverse denunce, confische e censure nonché innumerevoli critiche negative dalla stampa specializzata dell'epoca, creando un curioso paradosso morale, sociale e tematico con il senso stesso del film di Deodato.

Selvaggi

Luca Barbareschi in una scena di Cannibal Holocaust
Luca Barbareschi in una scena di Cannibal Holocaust

Ciò che rende infatti il film di Deodato un vero e proprio caso studio cinematografico è il forte e predominante interesse nell'analisi etica, deontologica e umana della dissonanza tra metropoli e giungla, tra civiltà e selvaggi. In realtà è proprio dopo Cannibal Holocaust che il genere nobilitò questo ulteriore elemento aggiunto, sfruttandolo maggiormente ma senza raggiunge mai concretamente i livelli innovativi del lungometraggio di Deodato. Non c'è inoltre parodia o scherno della violenza, che viene mostrata nei suoi tratti più crudi e viscerali, distanziandosi per questo dal mockumentary. Il contrasto è tra l'ipocrisia del capitalismo (della cosiddetta civiltà) e le usanze interne alle spietate e apparentemente barbare tribù amazzoniche. E il filtro è quello dei media, che il regista critica apertamente e con ferocia, additando con coraggio la brutalizzazione e spettacolarizzazione del male e della crudeltà, ma anche la manipolazione della verità mediante i mezzi di comunicazione, siano telegiornali o cinema stesso. Se il genere in questione ha sempre cercato di interrogarsi su chi fossero i veri selvaggi in preda a istinti animaleschi e aggressivi tra i popoli civilizzati e le tribù cannibali, Deodato è andato oltre, individuando nei mass media la più grande creatura antropofaga di tutte, in senso sociale e culturale, in grado di nutrirsi persino della coscienza e della volontà umana, dando conseguentemente in pasto agli spettatori "carne da macello" sotto forma di puro sensazionalismo capace di seviziare con masochismo i loro sensi.

Cannibal Holocaust
Una scena di Cannibal Holocaust

Anzi, questo inconsapevole indottrinamento spinge l'uomo senza coscienza né cultura a stuprare la natura, a prendersene gioco e ucciderla senza rispetto, quasi fosse loro diritto, essendo razza predominante nonché più progredita. Mai nelle metropoli e sempre distanti dalla civiltà urbana, comunque, come a voler liberare pulsioni represse falsificando di fatto la propria umanità. Prima ancora de Il ritorno del Cavaliere Oscuro di Frank Miller o di Natural Born Killer di Oliver Stone, Deodato rifletteva con competenza, deduzione e ingegno sul black mirror del capitalismo mediatico attraverso uno dei generi di serie B più liberi e sovversivi che mai.