Franco Califano è stato un poeta. Uno dei più grandi poeti italiani. Sì, partiamo forte, centriamo il punto, non usiamo mezze misure. Come non le usava Califfo, dalla vita sbilenca, eversiva, romantica. Incubi e sogni, i versi che diventano storie, scritte, regalate, tramandate. Tutt'intorno, lo sfondo romano, punto d'arrivo e punto di partenza. Anche qui, una Roma sognante, libera, spericolata. Da questo presupposto, l'encomiabile tentativo da parte della Rai, di rivedere la figura del cantautore in un film tv diretto da Alessandro Angelini. Ecco dunque Califano, tratto dal romanzo Senza manette scritto da Califano stesso insieme a Pierluigi Diaco (che no, non è stato coinvolto nella realizzazione). Non un biopic vero e proprio, bensì uno spaccato preciso, che viaggia tra gli Anni Sessanta e gli Anni Ottanta.
Una fotografia, potremmo dire, che ricuce gli inizi di carriera, fino ad affrontare quei momenti decisivi che l'hanno reso leggenda umana. Anzi, umanissima. Perché Califano punta all'umanità, più che sulla sostanza. Dall'altra parte, è inevitabile lo scontro tra la figura di Franco Califano (gigantesca) e un linguaggio strettamente televisivo, che riduce (ovviamente) spazio e tempo a disposizione. Un linguaggio televisivo, nonché legato ad un approccio da film tv da prima serata Rai 1. Ecco, dietro l'ottima intuizione narrativa (Califano non è mai stato troppo celebrato, al contrario di altri musicisti artisticamente minori), la messa in scena, standardizzata nell'ottica di un pubblico mediamente trasversale, non riesce pienamente a rendere la giusta dimensione (cinematografica o televisiva che sia) dell'Icona musicale raccontata.
Califano: alla scoperta di un Poeta
Certo, è una leggenda popolare quella di Califano; una leggenda lontana dalla borghesia, vicina ai temi e ai nervi di cui si è sempre fatto portavoce (basti leggere il testo di Semo gente de borgata, interpretata da I Vianella), e per questo amato incondizionatamente dal pubblico, dagli amici, dalle donne. Sono questi i tre angoli retti del film tv di Angelini, che tra l'altro segna l'esordio sul set di Leo Gassmann, scelto per dar corpo e voce ad un personaggio complicatissimo da rappresentare, senza scendere nel pericoloso macchiettismo. La storia in questo caso si espande tra il 1961, quando Franco, orfano di padre, scrive poesie, al fianco dell'amico fraterno Antonello Mazzeo (Giampiero De Concilio), e al fianco di Rita (Celeste Savino), primo amore, mamma dell'unica figlia.
Ma Franco non è nato per stare in gabbia: molla Roma, vola a Milano, scrive e scrive, si innamora di ogni donna che incontra, diventa amico di Ornella Vanoni (scriverà per lei La musica è finita, con cui arriverà quarta a Sanremo 1967), si inventa i Ricchi e Poveri ("ricchi di speranza, poveri di soldi"), scopre la cocaina, affrontandola di petto, tra cadute e risalite. Questo, in parte, è il Franco Califano trascritto nel film Rai. C'è poi il Minuetto per Mia Martini, c'è l'amore per Mita Medici (Angelica Cinquantini), ci sono i momenti che scandiscono vent'anni lunghi com'è lunga un'avventura. E poi, abbracciato dal suo pubblico, c'è l'arresto del 1984, "ammanettato e portato via come un assassino", venendo poi assolto perché quel fatto "non sussiste".
Califano, Leo Gassmann e una storia vera che ricerca l'umanità
Un sentito film tv, ma forse troppo formale
In verità, se quel fatto non sussiste, non sussiste nemmeno troppo marcatamente il senso stesso di Califano, all'interno dell'economia del film tv. Il motivo, infatti, è dettato dalle esigenze sceniche, e tempistiche: complesso sintetizzare una vita come quella del Califfo - dalla geografia di Regina Coeli a quella del Teatro Parioli, e poi quei brani, Tutto il resto è noia, Bimba mia, Me 'nnamoro de te -, complesso scendere a compromessi in un film che segue pedissequamente la schematicità delle produzioni televisive, costruite (spesso) seguendo un'estetica estremamente formale, depotenziando caratteri e caratteristiche delle storie raccontante. Ecco, il paradigma si fa ancora più palese se la storia raccontata è quella di Franco Califano: un irregolare, un pirata, un eroe tragico, debitore solo a sé e alla sua libertà. Sì, il Charles Bukowski italiano. Dunque, tutto l'opposto della formalità con cui viene strutturato.
Chiaro, le regole produttive, nel contesto del piccolo schermo, sono diametralmente opposte a quelle cinematografiche, ma forse, lo spirito di una figura come questa, avrebbe dovuto portare ad una rottura delle regole stesse. Dall'altra parte, c'è un'onestà intellettuale che regge l'impalcatura: nella sceneggiatura di Isabella Aguilar e Guido Iuculano c'è la lodevole voglia di accarezzare il Califfo, facendo sì che il film tv sia innanzitutto un'esperienza umana, e solo dopo un coeso profilo artistico. Non c'è dubbio che dietro l'opacità, la dimensione e la patina, ci sia una forte dose di dolcezza ed empatia, rendendo la stessa interpretazione di Leo Gassmann adiacente allo scopo generale (un punto in più per il coraggio nell'esordire con un ruolo così). Ma alla fine, quando la "musica è finita, e gli amici se ne vanno" resta la suggestione di una domanda che ci risuona in testa: questo Califano sarebbe piaciuto a Franco Califano? Sicuramente, tra una smorfia e un sorriso, avrebbe apprezzato l'impegno.
Conclusioni
Come scritto nella recensione, il film tv di Califano raccontata circa vent'anni, avendo però poco tempo a disposizione. Dall'altra parte, la patina televisiva non graffia a dovere, soprattutto nel contesto legato ad un personaggio complesso come quello del Califfo. Lodiamo però lo sforzo e l'impegno, che seguono una dolcezza e un'onestà in grado di rispettare la figura mitologica del Poeta.
Perché ci piace
- Franco Califano!
- Leo Gassmann, una prova non facile.
- Gli attori scelti.
Cosa non va
- Un film tv con il freno tirato.
- L'estetica patinata, in pieno stile televisivo.
- Molti anni raccontati, troppo poco spazio a disposizione.