C'era una volta Shyamalan?
The village ha rappresentato per M. Night Shyamalan una parziale svolta se non nelle tematiche di fondo almeno nelle coordinate narrative del suo cinema. Dopo le debordanti prove "binarie" di Il sesto senso e dell'immenso Unbreakable - Il predestinato, già con Signs il numero dei protagonisti principali aumentò con il coinvolgimento nella costruzione sintattica del film di un nucleo familiare "difettoso" ma paradigmatico. Con The Village questo sottilissimo allargamento nelle prospettive relazionali raggiunse il suo culmine, contornando inoltre di dettagli più fiabeschi la solita indagine shyamalaniana sulle mille sfaccettature della paura insita nell'animo umano. Lady in the Water, per tutti questi motivi e non, rappresenterebbe davvero il passo decisivo verso un nuovo corso nella carriera del talentuoso regista americano di origini indiane.
La ricerca di una maggiore coesione stilistica, il ritorno ad una storia sostanzialmente di coppia seppur corale (con un ribaltamento di segno dell'approccio comunitario di The Village), l'affinamento delle tecniche visive (già immense di per sé), un saldo equilibrio formale e lo svincolamento dall'ormai classico "finale a sorpresa" (qui praticamente assente), rendono il nuovo film di Shyamalan un'opera che, paradossalmente, potrebbe far storcere la bocca a molti. Il nostro dissemina la pellicola di tutti quelli elementi tipici del suo cinema, sottoponendoli però a quella stessa opera di "distillazione" attuata in The Village, ma con esiti certamente più convincenti. L'opposizione "riconciliante" tra fantastico e reale e la lotta tra bene e male, in Lady in the Water sono argomenti affrontati con un'urgenza comunicativa non comune nel cinema di Shyamalan, scardinando alla fonte qualsiasi congettura mnemonica sul ciò che è stato e sul ciò che sarà. L'invasione nel quotidiano di una dimensione altra avviene senza troppi sobbalzi (con un emblematico primissimo piano dell'efebica Bryce Dallas Howard), ma con il solito magistrale controllo dei tempi della suspense e una lucida gestione dell'emotività. La voglia di maggiore eloquenza, pur confermando le direttrici del precedente film di Shyamalan (l'eccessiva circospezione dell'umanità dinanzi ai pericoli esterni e le scelte coraggiose e sofferte di singoli, e problematici, individui), in Lady in the Water è perfettamente connaturata nel ritmo e nel contesto della storia, senza insomma quelle défaillances che ogni tanto si avvertivano nella raffinatezza (a tratti prolissa) di The Village. Bisogna poi ricordare che Shyamalan è anche uno di quei pochi registi delle ultime generazioni a saper valorizzare appieno il talento di attori sconosciuti (la stessa Bryce Dallas Howard) o relegati in ruoli di genere (Bruce Willis) o, ancora, di contorno: è il caso qui di Paul Giamatti, già apprezzatissimo interprete di Sideways e che nell'impianto di Lady in the Water trova perfetta collocazione.
Lady in the Water è una vera e propria fiaba moderna (e, a margine, una storia d'amore) struggente che si colloca nella rinascita che l'ultimo decennio cinematografico ha decretato al genere fantasy. Ma Lady in the Water è anche un'operazione adulta di appropriazione/contaminazione per certi versi non dissimile da quella che, in un contesto più horror, qui in Europa un presunto emulo di Shyamalan di nome Jaume Balagueró ha attuato appena qualche tempo fa con Fragile. Subendo un dissenso critico incomprensibile e fuorviante, almeno per il sottoscritto.