Più della storia di Keanu Reeves, che mai a onor del vero è scomparso dal radar hollywoodiano e dal cuore dei fan e appassionati, quella di Brendan Fraser rappresenta concretamente un vero e proprio rinascimento attoriale e dunque lavorativo, un "breniaissance" a tutto tondo a cui stiamo assistendo in questo ultimo periodo cinematografico. La presentazione di The Whale di Darren Aronofsky a Venezia 79 e la standing ovation per quello che già in molti definiscono il ruolo della vita dell'interprete, a cui lo stesso dice "di aver dato tutto se stesso", ne è una chiara ed esplicita dimostrazione.
Altalenanti e problematiche, però, sono sia la vita che la carriera di Fraser, che prima di raggiungere il successo internazionale ha dovuto barcamenarsi dall'età di 23 anni in produzione non sempre brillanti e di particolare rilievo o successo commerciale. Sorvolando infatti sugli inizi con Dogfight, Encino Man o Schoool Ties, (quest'ultimo già recitato da protagonista principale al fianco di Matt Damon e Chris O'Donnell), ad appena tre anni dal suo debutto, Fraser confezionò uno dopo l'altro e tutti nel '94 tra fallimenti al boxoffice con With Honors, Airhead e The Scout. Sceglieva i ruoli per lavorare senza pensare a crescere o lasciare un effettivo impatto sul grande pubblico, anche in termini mainstream o di cinema disimpegnato. Più semplicemente, Fraser non aveva un piano e non riusciva a rafforzare il suo starpower né quantitativamente né qualitativamente parlando. Serviva una svolta.
Un simpatico sex symbol d'azione
Tra il '95 e il '98 arrivano i primi reali successi interpretativi, come ad esempio Darkly Noon - Il giorno del castigo di Philip Ridley, L'orgoglio di un figlio di Ross Kagan Marks o Gods and Monsters (qui davvero acclamato) di Bill Condon. Ma anche diverse commedie - pure di genere - particolarmente apprezzate da critica e audience, pensando a George re della giungla di Sam Weisman o Sbucato dal passato di Hugh Wilson. Il nome di Fraser conquista più credibilità e affetto e dopo otto anni d'indefesso stacanovismo e speranze, finalmente arriva il ruolo che lo lancia verso il successo internazionale: quello di Rick O'Connell ne La Mummia di Stephen Sommers. Il remake del mostro Universal è tutto battute e azione ed è un instant cult per il grande pubblico, che vede nel personaggio di Fraser un'evoluzione in stile action hero non autoriale dell'Indiana Jones di Harrison Ford, solo con un tocco più orrorifico e molto più votato al commerciale. Nonostante ulteriori flop economici come Dudley Do-Right di Hugh Wilson o Monkeybone di Henry Selick a inframezzare la sua ascesa come sex symbol di Hollywood - nonché nome richiestissimo -, questo tra il 1999 e il 2004 rappresenta l'apice della carriera fraseriana, durante il quale girò infatti anche La Mummia - Il Ritorno, Looney Tunes - Back in Action, The Quiet American e Crash di Paul Haggis, titolo corale che conquistò anche l'Oscar come miglior film.
Compare anche nell'amatissima Scrubs sul piccolo schermo. Su quel periodo, anni dopo, dichiarò a GQ: "Forse stavo facendo troppo e a un certo punto mi venne richiesto un pedaggio fisico che non riuscivo più a sopportare. Quando girai la Muammia 3 mi tenevano insieme ghiaccio e bende. Mi sentivo come il cavallo di Animal Farm o il proletario di Orwell". Non è comunque un caso che l'apice stesso del suo lavoro e del suo star power abbia portato con se uno dei momenti più bui della vita del performer, quello che per sua stessa ammissione ha ricalibrato per sempre ambizioni, prospettive e sensibilità della sua esistenza.
A big down
A inizio millennio abbiamo visto Fraser in molte produzioni di genere, soprattutto d'azione e commedie: La Mummia - La tomba dell'Imperatore Dragone, Viaggio al centro della Terra, Inkheart, Puzzole alla Riscosse e altri titoli di leggero e godibile intrattenimento. Non ha rinunciato a ruoli più impegnati, comunque, recitando in Journey to the End of the Night, The Last Time o The Air I Breathe, tutto cinema indipendente in cui Fraser ha tentato di riversare la parte qualitativa della sua carriera per sopperire alla decisione di non accettare più determinati ruoli legati a certe istituzioni hollywoodiane, specie all'Hollywood Foreign Press Association, organizzazione in capo ai Golden Globes. In una lunga, intensa ed emozionante intervista-profilo rilasciata infatti nel febbraio 2018 a GQ, proprio nel momento di massima attenzione alla battaglia del #MeToo dopo lo scandalo Weinstein o Spacey, Fraser confessò di aver subito delle molestie sessuali nel 2003 dal quello che era allora il presidente della HFPA, Philip Berk. L'incontro tra il giornalista Zach Baron e Fraser avvenne in un primo momento di risalita dell'attore, quando tornò a comparire pubblicamente per promuovere The Affair e poi Condor e ancora Trust, tre serie televisive di grandissimo successo che hanno rappresentato una grande presa di coscienza da parte dell'interprete, che appariva però molto teso se non addirittura triste. Dopo averlo rivisto ingrassato e poco curato, la gente ha cominciato a chiedersi cosa fosse successo a Brendan Fraser ("What Ever Happened to Brendan Fraser?" è proprio il titolo dell'articolo di Baron), e nell'intervista l'interprete ha scelto di rivelare ogni cosa per liberarsi di un peso che per troppi anni ha mandato in declino la sua sua carriera, allontanandolo per giunta dalla scena pubblica e dai suoi fan per paura di traumi e conseguenze che non riusciva ancora ad elaborare e gestire.
In quegli anni - nel decennio dal 2008 in poi - ha perso la madre, è passato attraverso un brutto divorzio ed è stato tagliato fuori da due importanti franchise che aveva contribuito a plasmare - La Mummia e Viaggio al centro della Terra. Un decennio difficile, sicuramente, ma la depressione e il primo vero e grande momento di down arrivarono dopo Berk e la sua molestia che "lo face sentire come un ragazzino, anche colpevole, di meritare quel trattamento". Per questo scelse di ritirarsi dalla vita pubblica: "L'esperienza - confessò ancora a GQ - ha sconvolto il senso stesso di chi ero e di cosa stavo facendo. Il lavoro di quel periodo è appassito come una vite, per me. Qualcosa mi era stato portato via". Si considerava un fallito capace di ostentare solo bellezza e creare solo sensazioni sessuali e di poco valore nelle persone, motivo che lo spinse addirittura ad accettare la sceneggiatura di Looney Tunes Back in Action. Il motivo? Perché, nella finzione d'interpretare lo stuntman di se stesso, in una scena doveva prendere a pugni il vero Brendan Fraser, ovviamente sempre interpretato da se stesso: "Volevo ammazzare la versione peggiore di me stesso, metterla ko e fuori gioco e prendermi per il culo prima che lo facesse qualcun altro - disse sempre a GQ". Per questo continuò poi a recitare in film dove l'orgoglio era sempre messo da parte, lasciando deteriorare il fisico dai segni del tempo e della depressione, combattendola e interrogandosi su quanto accaduto, fino all'epifania, all'accettazione, alla non-colpevolizzazione e al ritorno sulle scene.
A new dawn
È come se quella confessione scritta avesse liberato Fraser, che dal 2018 ha ripreso ad accettare ruoli in produzioni sempre più variegate tra grande e piccolo schermo, riaffacciandosi anche con timida sicurezza nel mondo del mainstream (Doom Patrol o il cancellato Batgirl). È tornato alle interviste e ai viaggi promozionali e per questo è stato notato nuovamente dai fan, che dopo aver scoperto cosa gli fosse realmente successo, hanno cominciato a nutrire un ancor più sincero affetto ed enorme stima per l'attore, che da fragile e umanissimo outsider di Hollywood è tornato a essere un beniamino del grande pubblico e sempre più ricercato da grandi autori come Martin Scorsese o Steven Soderbergh e desiderato da stimati artisti indipendenti come Max Barbakov. L'accoglienza calorosa per The Whale e un'interpretazione sontuosa, intima e dolorosa, nonché l'eventuale vittoria di un Oscar, andranno ora solo a suggellare quello che ormai sappiamo tutti: che Brendan Fraser è un attore di estremo talento e profonda gentilezza, mancato per anni a tutti e finalmente qui per restare.