Braveheart, 30 anni dopo: una gigantesca VHS e quella prima volta con William Wallace

Il film di Mel Gibson visto da un bambino? Sangue, violenza, epica cinematografica. Ma anche il valore della comunità, della libertà e della giustizia. Movieplayer affida ai ricordi di un collaboratore il senso generazionale di un'opera simbolo degli anni 90.

Una scena di Braveheart

Trent'anni dopo, di Braveheart si è detto e scritto tutto. Inno alla libertà, cinema d'altri tempi, muscoloso ed epico, emblema di una Hollywood gigantesca, eccessiva, visionaria, performativa. La storia romanzata di William Wallace, vista e rivista da Mel Gibson all'opera seconda (!) dopo L'uomo senza volto. Il resto sono appendici da Wikipedia: cinque Oscar su dieci candidature, la splendida colonna sonora di James Horner e una narrazione capace di "risvegliare la coscienza nazionale scozzese". Che altro aggiungere? Appunto.

#100AnniFox: Mel Gibson in una foto scattata sul set
Sul set del film

Va detto però che il cuore impavido di Braveheart è tra le certezze dei Millennials. Uno di quei titoli imprescindibili, legati a un ricordo ancora vivo. E se questa è l'epoca della nostalgia - potente, dolorosa, assuefacente -, allora voglio tornare alla giornata in cui ho incontrato per la prima volta quel capopopolo di William Wallace. Al cinema? No, in una mastodontica VHS.

Braveheart (non) è un film per bambini

Braveheart - Cuore impavido usciva al cinema il 1 dicembre del 1995. Lo stesso anno di Balto, Jumanji, Toy Story. Nemmeno a dirlo, film decisamente più indicati per un bambino di sette anni. Ciononostante, il richiamo per l'epica e per l'azione era in me già forte. In qualche modo - e sicuramente in modo inconsapevole - quell'uomo dai capelli lunghi e sudici, in gonnella, e con la faccia pittata di azzurro, rappresentava l'emblema di una certa immaginazione cinematografica che si legava ai sussidiari di scuola. L'eroe sanguinario che lottava per la libertà, in una forma tutta nuova. Roba forte: l'incarnazione di un mito storico, influente sul pensiero di un bambino appassionato di cappa e spada (passione poi persa, per fortuna).

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Lo sguardo di Mel Gibson

Certo è che il film di Mel Gibson non era minimamente consigliato a un pubblico di ragazzini. Sangue, budella, baci fin troppo spinti. Come dire: "tenerlo lontano dalla portata dei più piccoli". Ma si sa, il fascino del proibito è un richiamo troppo forte, e allora, allegando la fortuna di aver frequentato una scuola elementare piena di cinefili in erba (una scuola di vita, a dirla tutta), non c'è voluto poi molto per sporcarmi con il fango di Falkirk, teatro di una delle più sanguinose e spettacolari battaglie del grande schermo.

Combattendo insieme a William Wallace

Forte del successo in sala - 210 milioni in tutto il mondo - e forte degli Oscar vinti, ricordo bene che Braveheart arrivò in home-video diversi mesi dopo, in uno splendido cofanetto che conteneva due VHS. Erano anni analogici e meravigliosi, e gli ingombranti 178 minuti di montaggio di Steven Rosenblum non potevano entrare in un solo nastro. Era un oggetto affascinante, che impreziosiva la videoteca del mio compagno di classe, Tiziano.

Lo stesso che, lontano da occhi indiscreti, portava nello zainetto la videocassetta di un altro capolavoro proibito come Arancia meccanica. Con il senno di poi, lo ringrazio: forse non sarei a scrivere queste parole se non mi avesse trascinato nella Scozia del XIII secolo. In qualche modo, la visione di Braveheart, mangiata da un vecchio videoregistratore, fu illuminante. Una vera e propria iniziazione e, forse, il primo vero kolossal visto e quindi amato.

Robert The Bruce Braveheart Angus Macfayden
I dilemmi di Robert Bruce

Il piano era semplice e definito: Tiziano avrebbe trafugato l'enorme cofanetto dalla mensola, l'avrebbe imboscato nello zaino e, all'uscita da scuola, saremmo poi andati a casa mia per combattere in prima linea con William Wallace. A dirla tutta, Tiziano aveva già visto il film, soffermandosi sulle teste mozzate, sulle gambe amputate, sulla violenza intrisa nelle immagini - violenza che sarà poi metro stilistico di Mel Gibson. Ricordo perfettamente di aver chiuso le finestre, creando un'atmosfera "cinematografica". Il televisore a tubo catodico comprato da ELDO era abbastanza grande da farci godere lo spettacolo.

L'epica e il potere del cinema

Buio pesto, chiusi nel salone - come molti miei compagni di scuola non avevo la cameretta, dormendo sul divano letto - e immersi nell'umidità scozzese, mangiando ogni secondo del film; un'attenzione altissima, portata al massimo durante le battaglie che scandivano la storia. Ricordo di aver provato disprezzo per re Edoardo I d'Inghilterra e per il suo inetto figlio (Patrick McGoohan e Peter Hanly, mostri di bravura) e ricordo di aver provato una certa commiserazione per il traditore Robert the Bruce (Angus Macfadyen). Per un bambino di sei o sette anni le emozioni sono concetti ancora poco sfumati, ma l'epica di Braveheart fece sì che alcuni sentimenti potessero prendere colori diversi, almeno per un momento. Potere del cinema.

Libertà!

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Sangue e libertà: una scena del film

Oltre allo sguardo schizzato e furioso di Mel Gibson, nel bel mezzo di una sanguinolenta baraonda, ciò che mi arrivò forte da quella visione proibita riguardava il senso di partecipazione. Un senso che si legava alla comunità, all'appartenenza e al senso di giustizia. Un altro ricordo chiave, poi, si agganciava ai comprimari: il vero punto di riferimento, per me, era infatti l'irlandese Stephen (David O'Hara), unitosi alla causa di Wallace. Ricordo di aver chiesto a Tiziano - lui che mi aveva iniziato a Braveheart - di svelarmi in anticipo le sorti del personaggio: non avrei potuto sopportare la morte di un valoroso outsider, che scelse di stare dalla parte giusta della Storia. Fui sollevato di vederlo addirittura raccogliere il testimone del condottiero William - di cinema già ci capivo abbastanza, e avevo intuito il potenziale narrativo.

Alla fine, dopo quasi tre ore di visione, e dopo aver urlato anche noi "libertà!", ecco spuntare la consapevolezza e la folgorazione: il cinema era una roba bellissima, ed era ancora più bella se applicata a una forma estetica e linguistica tanto potente. Una suggestione che, negli anni, si sarebbe poi rafforzata e modellata. Tanto che appesi la locandina di Braveheart in bella vista sul muro del salone. Per buona pace di mia mamma.