Bond 2.0
Un nuovo volto per Bond, quello rude e irregolare di Daniel Craig. Una trama che caratterizza il film come un prequel temporalmente sfasato. La destrutturazione e la ricostruzione di un personaggio iconico. Se, come dichiarato dai suoi realizzatori, Casino Royale mirava ad essere un reset pressoché totale dell'immaginario collettivo relativo all'universo di 007, un suo adeguamento ai tempi correnti, allora l'operazione può dirsi riuscita. Sono comunque da considerare le direttrici di questa ricostruzione, la loro efficacia e la riuscita complessiva del film.
Ancor più di quanto mostrato nel suo precedente Bond movie (Goldeneye, di gran lunga il miglior 007 dell'era Pierce Brosnan), Martin Campbell sembra aver pensato formalmente a Casino Royale più come ad un contemporaneo action-spionistico che come ad un film dell'agente segreto britannico: ne sono testimonianza un incipit secchissimo e spietato ed un primo inseguimento da cardiopalma in stile parkour, una delle migliori sequenze d'azione viste di recente sul grande schermo, nella quale è comunque sensibile lo zampino di Sebastien Foucan (inventore del parkour e coinvolto nella scena) e del regista della seconda unità Alexander Witt.
Con l'episodico inserimento dell'incidente stradale, questo stile si perde però lentamente, anche logicamente, per il rallentare della trama con la lunga partita a poker, terminando con un crollo veneziano pacchiano e un po' bruttino. Ma di converso, col rallentare dell'azione c'è sempre più spazio per dialoghi (a volte non sempre) ficcanti e riusciti e soprattutto per tratteggiare il nuovo 007, il James Bond 2.0, che rinasce dalle sue stesse ceneri.
Quella di Casino Royale è doppiamente la prima avventura di questo nuovo Bond: da un lato poiché si tratta di un prequel in cui si riprende il primo romanzo della serie firmata da Ian Fleming, dall'altro perché è evidente non solo dalla trama l'intenzione di modellare un personaggio nuovo, dalle caratteristiche uguali ma diverse rispetto al Bond versione 1.x, più sfaccettato, più problematico, persino più vulnerabile: in una parola più contemporaneo. Se nel complesso risulta convincente la rappresentazione di un personaggio in fase di sviluppo, dalla psicologia ondivaga, ancora forse alla ricerca di una forma definitiva (anche aiutata da un Craig che ad un carattere del genere mette a disposizione una fisicità adeguata e complementare), forse lo zoccolo duro dei fan di 007 rischia di rimanere eccessivamente spiazzato di fronte ad un personaggio che sembra quasi prendere le distanze da molti di quelli che sono stati a lungo considerati i suoi tratti iconici: su tutte, forse può colpire ma non stupire un'eccessiva penalizzazione di ironia e sarcasmo che, pur presenti, pagano al dazio alla necessità del rappresentare un Bond più rabbiosamente determinato.
E quando invece quegli stessi tratti iconici sembrano fare capolino, danno a tratti l'impressione di non essere capitati nel momento (o nel film) giusto. Insomma, in un film nel complesso discreto, rimane forse il retrogusto di una modernizzazione riuscita, ma solo a metà: Bond non è più il Bond che conosciamo, ma forse per vedere al cinema un nuovo e contemporaneo agente segreto bastava Jason Bourne. Il percorso del Bond 2.0 è comunque appena cominciato, pazientando si vedrà dove andrà a parare.
In conclusione, una nota a margine sul villain e sulle donne del film, imprescindibile per un film di 007, seppur in versione 2.0: Mads Mikkelsen è ottimo, da ottimo attore qual è (vedetelo in Pusher II), Caterina Murino è la Bond-girl più racchia e scialba che si sia mai vista, Eva Green, per converso, si piazza nel gotha della categoria, ed è anche efficace nella sua parte: con la sua bellezza compensa il pubblico maschile del nodo allo stomaco dato dall'agghiacciante tortura ai testicoli subita da 007.