Recensione di Blaze: il country si fa leggenda nel biopic di Ethan Hawke

Recensione di Blaze: Ethan Hawke presenta a Locarno 71 la sua quarta regia, il biopic dedicato al cantante country texano Blaze Foley.

La natura del cinema pensato e sognato da Ethan Hawke è intrinsecamente indie. Lo dimostrano lo sperimentale Chelsea Walls, il delicato L'amore giovane e l'appassionato documentario Seymour: An Introduction. Non fa eccezione neppure Blaze, biopic dedicato al cantante country di Austin Blaze Foley, scomparso nel 1989. Quando di più lontano possibile dai biopic patinati di certe star delle sette note, Blaze è un film libero, vitale, intimo, a tratti rabbioso. Ha le fattezze di un organismo che si muove, respira e muta costantemente mentre racconta una storia d'amore tra un uomo e una donna, che è poi amore per la musica, per la poesia, per la natura e per la propria chitarra.

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Blaze: Alia Shawkat e Ben Dickey in una scena

Come aveva già fatto in passato, Ethan Hawke sceglie di non comparire in Blaze e affida il ruolo di Blaze Foley al corpulento Ben Dickey, vero musicista folk nella vita, qui all'esordio sul grande schermo. Hawke definisce il suo biopic una "gonzo indie country-western opera". A pensarci bene mai definizione fu più corretta. La storia di Blaze Foley ci scorre sotto gli occhi in modo confuso, i personaggi vengono introdotti all'improvviso, senza troppe contestualizzazioni. La naturalezza con cui le immagini si susseguono in un unicum che fonde presente e passato mima il ritmo sonnacchioso della vita... o di una ballata country.

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Un film non lineare, proprio come la vita

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Blaze: Ben Dickey in una scena del film

Blaze Foley è un uomo dai modi spicci, che vive immerso nella natura nei boschi del Texas circondato da pochi amici e colleghi ruvidi quanto lui. La modernità sembra lontana anni luce da questo musicista barbuto che vive in simbiosi con la sua chitarra e aspira a diventare una leggenda. Nel frattempo passa il tempo bevendo fino allo stordimento o componendo malinconiche ballads. La musica invade ogni sequenza di Blaze fin dall'incipit in cui vediamo lui e gli amici suonare e cantare nella veranda della casa di legno, rifugio di Foley. Il cantante ha un dono: le canzoni sono il suo modo di comunicare. Tanto sono impacciati e mozzi i suoi discorsi quanto sono poetiche le liriche che canta accompagnandosi con la chitarra.

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Blaze: Ethan Hawke e Ben Dickey sul set

Ethan Hawke ha a cuore la materia di cui parla, proprio per questo sceglie la forma che più le assomiglia, non la più facile da fruire. Una fotografia virata sui tono del grigio, verde e marrone accompagna le immagini che pigramente seguono Foley nel suo lento cammino verso il successo, scandito da esibizioni in locali fumosi e dall'incontro con la futura moglie Sybil Rosen (Alia Shawkat), aspirante attrice. Il racconto non segue una via lineare. Il regista crea un puzzle di flashback che scorrono avanti e indietro nel tempo. A racchiudere questa serie di cornici concentriche è l'intervista in uno studio radiofonico a Townes Van Zandt (interpretato dal chitarrista veterano Charlie Sexton) in cui il cantante fa conoscere al mondo il talento di Blaze. Le altre due linee narrative riguardano l'idillio nei boschi tra Blaze e Sybil, le sirene del successo materializzatesi sotto forma di un inedito trio di discografici (piacevole cameo che vede coinvolti Sam Rockwell, Richard Linklater e Steve Zahn) e l'ultima esibizione del cantante, culminata nella sua morte.

La musica si fa materiale narrativo nell'opera country-western su Blaze Foley

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Blaze: un primo piano di Kris Kristofferson

Per amor di autenticità, Ethan Hawke ha coinvolto nel suo biopic il maggior numero possibile di persone che hanno conosciuto Blaze Foley a partire proprio da Sybil Rosen, sul cui memoir il film si basa, che ha anche contribuito attivamente allo script. La storia di Blaze Foley si configura come una caduta dall'Eden. Al momento in cui l'improbabile coppia composta da Blaze e Sybil - rude campagnolo lui, ebrea, attrice e intellettuale lei - abbandona il proprio paradiso tra i boschi per cercare fortuna in città, la loro unione inizia a franare. Ethan Hawke mantiene una rispettosa distanza dalla coppia, raccontando con pudore il loro idillio fatto di pace, musica e natura. Il loro nido d'amore è privo di riscaldamento né elettricità. I due non possiedono niente, ma sembrano bastare a loro stessi, almeno all'inizio.

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Blaze: Ethan Hawke, Ben Dickey e il produttore John Sloss a Locarno 71

I sentimenti dei personaggi vengono suggeriti senza mai indagare nella loro intimità. Le scelte visive aderiscono a questa istanza. Rari i primissimi piani, riservati soprattutto all'espressiva Sybil. Le sequenze in cui la telecamera indaga il volto bonario di Blaze coincidono invece con le performance canore, momenti in cui il cantautore si trova a proprio agio, dietro una chitarra, con un microfono e un bicchiere di alcool. Ethan Hawke inanella, però, un paio di sequenze rivelatrici del personaggio particolarmente riuscite che non appartengono all'ambito musicale: l'incontro con i genitori di Sybil che sfocia in una delle proposte di matrimonio meno romantiche di sempre eppure ugualmente struggenti, e la visita di Blaze al padre alcolista (Kris Kristofferson) che, incapace di riconoscerlo a causa della malattia, chiede con martellante insistenza una sigaretta.

La musica di Blaze Foley nasce dal dolore, dall'isolamento, dalla rottura dei legami familiari, dalla rabbia. Ethan Hawke racconta tutto questo per suggestioni. Piuttosto che spiattellare in faccia allo spettatore i drammi del cantante, si limita a evocarli lasciando che siano i testi delle canzoni, intrecciate indissolubilmente alle immagini, a parlare. Per tutta la vita Blaze ha sognato di diventare una leggenda. Ethan Hawke ha provato ad accontentarlo con un biopic dai contorni sfumati che lascia al pubblico la possibilità di scegliere la propria verità creando il proprio ritratto di Blaze Foley.

Movieplayer.it

3.5/5