La macchina del fango di Hollywood: come Blake Lively è diventata una delle celebrità più odiate

Da icona amata a bersaglio di odio: le accuse dell'attrice contro Justin Baldoni e il produttore di It Ends With Us, svelano il lato oscuro dello showbiz. Tra abusi di potere e manipolazione mediatica.

Blake Lively in una scena di It Ends Wth Us

Fino all'estate scorsa, Blake Lively era una delle attrici più amate di Hollywood. Con la sua bellezza stratosferica, il suo carisma, il suo stile glam e il suo status di "mamma rock" al fianco di Ryan Reynolds, sembrava essere l'incarnazione stessa della perfezione. Ma tutto è cambiato dopo la promozione del film It Ends With Us - Siamo noi a dire basta, pellicola su una vittima di violenze domestiche che ha ottenuto un certo successo al botteghino. Un'inchiesta pubblicata in questi giorni dal New York Times ha rivelato non solo le esperienze personali della Lively, ma anche una macchina di potere e manipolazione che ha trasformato la sua immagine pubblica, facendola passare da star amata a una delle celebrità più odiate di Hollywood.

L'accordo iniziale: le verità nascoste

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Justin Baldoni e Blake Lively in una scena del film Siamo noi a dire basta

L'attrice, a inizio lavorazione, si era lamentata con la produzione degli atteggiamenti sul set di Justin Baldoni, regista e coprotagonista del film, e del produttore Jamey Heath in una riunione a cui aveva presenziato anche Ryan Reynolds. Quando Lively aveva sollevato le prime obiezioni, le erano stati concessi alcuni accorgimenti, tra cui un coordinatore dell'intimità per assicurarsi che il set fosse sicuro e rispettoso dei suoi limiti, e l'eliminazione di alcune scene sessuali ritenute gratuite dall'attrice. I due uomini le avevano anche promesso di non fare ritorsioni, rassicurandola sul fatto che avrebbero protetto la sua posizione e la sua sicurezza. Avevano persino avvallato il final cut deciso dalla Lively (inclusa nei crediti come produttrice all'ultimo minuto). Ma, come emerge dall'inchiesta condotta dai reporter investigativi del New York Times, Megan Twohey e Mike McIntire, quella promessa è stata presto infranta.

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Blake Lively e Justin Baldoni in una scena di It Ends With Us

Le accuse a Baldoni e Jamey Heath

Nella denuncia che l'attrice ha sporto qualche giorno fa, accusa Baldoni di averla baciata senza il suo consenso durante alcune scene intime. Non solo: il produttore è stato accusato di averle mostrato immagini della propria moglie nuda e di essere entrato nel suo camerino senza invito, mentre l'attrice era seminuda o stava allattando. Un comportamento invasivo che aveva minato il suo senso di sicurezza sul set e reso difficile l'esperienza lavorativa.

Baldoni e Heath, non appena Reynolds aveva bloccato Baldoni su Instagram, fiutando il pericolo di denunce a posteriori, avrebbero giocato in contropiede assoldando un team di PR anti-crisi, per elaborare strategie contro la coprotagonista. Tra queste, il desiderio di Lively di non apparire accanto al suo regista sul red carpet è stato trasformato in un atteggiamento snob e prevaricatore, per dipingerla come una diva difficile da gestire.

Blake Lively e Ryan Reynolds nell'action Green Lantern
Blake Lively e Ryan Reynolds in una scena di Lanterna verde

Inoltre, mentre la Sony aveva chiesto di promuovere It Ends with Us - Siamo noi a dire basta come una commedia floreale e leggera, diktat a cui l'attrice si era prontamente piegata; lo scaltro team di Baldoni aveva consigliato al regista di farsi accompagnare alle interviste da vittime di violenza domestica, facendo così apparire Blake una biondona frivola e insensibile ai temi del film e Justin come un eroe #MeToo.

La macchina del fango e la gestione dell'immagine

"Lui vuole sentirsi dire che potrebbe essere seppellita", scriveva una delle pubbliciste coinvolte, rivelando la volontà di Baldoni di distruggere la reputazione dell'attrice di Gossip Girl. Messaggio a cui la PR Melissa Nathan rispondeva: "Lo sai che possiamo distruggere chiunque".

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Justin Baldoni, protagonista e regista di It Ends With Us

Nelle dichiarazioni di questi giorni, le esperte di marketing stanno cercando di minimizzare il loro reale contributo al tracollo della reputazione della Lively. Ma possiamo credere che sia casuale che sui social media sia stata "spammata" un'intervista del 2016 in cui Lively appariva arrogante e scontrosa proprio nei giorni della promozione del film? L'intervista, condotta da una giornalista norvegese legata in qualche modo alla Nathan, è stata ripubblicata proprio in quel periodo, alimentando ulteriormente l'ondata d'odio. La stessa publicist, nelle conversazioni che la difesa è riuscita a ottenere tramite un'ordinanza del tribunale, si vantava di aver fatto pubblicare un articolo sul Daily Mail intitolato: "Blake Lively sarà cancellata?".

Chat Tra Melissa Nathan E Jennifer Abel Wbwezyo
Una delle chat tra le due PR di Justin Baldoni

La dichiarazione di guerra di Blake

Casuale o meno, mentre l'immagine della donna precipitava, quella di Baldoni, che sin dall'inizio della lavorazione del film si era presentato come un attivista per i diritti delle donne e un alleato contro la violenza di genere, veniva celebrata. A settembre, è stato persino premiato come esempio positivo di uomo che "eleva le donne".

A fronte di un'operazione di demolizione così ben riuscita, qualche giorno fa Lively ha scelto di portare in tribunale le sue accuse di molestie sessuali, segnando un momento decisivo nella sua lotta per ottenere giustizia. "Lo scopo del mio reclamo non è solo ottenere giustizia per me stessa, ma anche incoraggiare altre persone a denunciare comportamenti simili, senza paura di ritorsioni", ha dichiarato.

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Manipolazione e dissing nell'era dei social

Le manipolazioni dei press agent non sono certo una novità a Hollywood. Da sempre, l'immagine delle celebrità è stata gestita come un bene da plasmare o, talvolta, distruggere. Tuttavia, nell'era del dissing costante sui social e delle opinioni polarizzate, questi meccanismi si sono amplificati, diventando strumenti potenti in grado di riscrivere la realtà e devastare reputazioni.

Il caso di Blake Lively, che ancora attende il giudizio definitivo in tribunale, è solo uno dei tanti esempi che ci fanno riflettere sulle storture dell'industria dell'entertainment. In un contesto così pervasivo, diventa tragicamente facile trasformare una celebrità in un bersaglio pubblico, abbattendola con una campagna di diffamazione tanto silenziosa quanto efficace. La verità, in questi casi, è spesso piegata ai giochi di potere.

Baldoni-Lively: chi è migliore?

In questo contesto, Baldoni si dimostra colpevole di grande ipocrisia: se le accuse di molestie risultassero vere, sarebbe un grave paradosso per un regista che ha diretto un film #MeToo. Nonostante si presenti come un alleato contro la violenza di genere, ha voluto che Blake indossasse abiti succinti sul set e ha scelto un suo amico per interpretare il ginecologo del film, permettendogli di indugiare sulle parti intime della diva.

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Baldoni sul set con Colleen Hoover

Va detto, però, che Lively non esce meglio dal quadro, se l'accordo iniziale fosse stato rispettato, non avrebbe denunciato Baldoni per le molestie. La decisione di farlo è arrivata solo dopo il crollo della sua immagine pubblica. In questo caso, dunque, il problema non è stabilire chi sia peggiore tra i due, ma chi utilizzi meglio le strategie di marketing per screditare l'altro.

Nessuno è immune

La domanda che sorge spontanea a fronte dell'immane carica di odio che si è sprigionata nei confronti della Lively nei mesi scorsi è: quanto siamo davvero consapevoli di questo meccanismo? Quante volte ci siamo fatti un'idea di una celebrità o di un personaggio pubblico sulla base di ciò che leggiamo o vediamo sui social, senza mai conoscere la verità dei fatti? Pensiamo a esempi come quello di Johnny Depp e Amber Heard (lui si è avvalso dello stesso PR Team di Baldoni), la cui battaglia legale ha polarizzato l'opinione pubblica, facendo sì che entrambe le figure venissero viste in modo diametralmente opposto a seconda della parte che si sosteneva.

In questi casi, la narrazione pubblica ha giocato un ruolo cruciale nel determinare se un personaggio fosse percepito come una vittima o un colpevole, un eroe o un traditore. Ecco perché, come ha sottolineato la stessa Melissa Nathan, festeggiando cinicamente l'operazione perfettamente riuscita contro Blake Lively: "È triste vedere quanto sia facile convincere le persone a odiare una donna." La verità è che oggi siamo tutti, in una certa misura, coinvolti in questo gioco di manipolazione, dove la verità diventa fluida e il pubblico è chiamato a scegliere da che parte stare. La domanda è: stiamo davvero cercando la verità, o ci limitiamo a schierarci, come tifosi, in un campionato che non ha nulla a che fare con la giustizia?