Tra gli eventi più attesi di questo autunno, per noi cha siamo amanti dell'horror e che veniamo premiati con un repentino aumento di prodotti di questo genere durante questo periodo dell'anno, c'è senza dubbio Welcome to The Blumhouse, il progetto firmato dalla casa di produzione di Jason Blum e da Amazon Prime Video. Quattro film ad ottobre e altri quattro distribuiti nel corso del 2021, che spaziano dal thriller psicologico all'horror più classico e che esplorano tutti il tema dell'amore e della famiglia, cercando però prospettive uniche e particolari. Se tra i primi due ad uscire The Lie (di cui abbiamo parlato nella nostra recensione) ci ha colpito in positivo, come vedremo in questa recensione di Black Box, il film di Emmanuel Osei-Kuffour non è riuscito a convincerci allo stesso modo.
Pur partendo da premesse interessanti, il film manca di quei guizzi narrativi che manterrebbero alta l'attenzione dello spettatore fino al finale, riducendo l'intreccio ad una serie di svolte e colpi di scena piuttosto prevedibili: la nostra impressione è che non si sia riusciti a fare quel passo in più, dal punto di vista della sceneggiatura, che avrebbe reso questo film davvero intrigante e coinvolgente.
Un mistero nei ricordi del protagonista
La storia si apre sei mesi dopo un tragico incidente, in cui Nolan (Mamoudou Athie), oltre alla moglie, ha perso quasi completamente la memoria dopo aver subito un grave danno neurologico. Rimasto solo a crescere la piccola Ana (Amanda Christine), l'uomo cerca disperatamente di ricordare la sua vecchia vita, in modo da poter essere un buon padre per la sua bambina. Quando, dopo aver fallito l'ennesimo colloquio di lavoro a causa della sua condizione, si rende conto che così non può più andare avanti, Nolan decide di sottoporsi ad una cura sperimentale messa a punto da Lilian (Phylicia Rashad), un medico specializzato proprio in disturbi della memoria. Connettendo le sue sinapsi cerebrali a una macchina creata da Lilian, la black box del titolo, l'uomo verrà trasportato nei ricordi che la sua mente tiene sepolti, rivivendo il suo passato e recuperando così quello che ha perso. Negli anfratti della sua memoria, però, si nasconde qualcosa di assolutamente terrificante: una mostruosa creatura che lo raggiunge in ogni suo ricordo, trasformando in un incubo anche i momenti più gioiosi.
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Il film, come vi anticipavamo, si basa sì su alcune premesse senza dubbio interessanti, ma non riesce mai a svilupparle al punto da dare un identità più chiara e definita alla storia che sceglie di raccontare. La macchina, la _black box _ che dovrebbe curare il protagonista dal suo disturbo, richiama in qualche modo quel tipo di tecnologia futuristica ed inquietante che viene esplorata nell'iconica Black Mirror, ma sia il suo funzionamento che tutto il contesto in cui viene creata non sono mai approfonditi al punto da trasformarsi in una vera e propria critica alla società in cui si muovono i nostri personaggi (come invece si faceva nell'altra serie). La tecnologia, in questo caso, altro non è che un semplice escamotage per portare Nolan a confrontarsi con i misteri che la sua mente ed il suo passato nascondono, di cui però lo spettatore - chissà forse troppo abituato a prodotti cinematografici o televisivi dagli spunti molto simili - prevede la soluzione fin troppo facilmente.
Delle buone premesse, ma...
Parlando di temi che non vengono esplorati quanto sarebbe necessario, poi, c'è anche tutto il discorso relativo alla violenza domestica: invece che diventare un elemento trainante dell'intreccio - e qui il confronto con un film capace di sfruttare il genere horror per stimolare una critica più ampia, ossia il particolarmente riuscito The Invisible Man (sempre prodotto da Blumhouse), è inevitabile -, si limita ad essere poco più che una caratteristica di uno dei personaggi, la cui profondità psicologica resta purtroppo solo abbozzata.
Anche di quello che poi scopriremo essere uno dei principali antagonisti ci viene detto veramente poco, fornendoci solo qualche accenno sul suo passato per poterne comprendere le azioni, cosa che non fa altro che distaccarci ancora di più dall'intera vicenda. Se anche in questo caso, come nel già citato The Lie, seguiamo dei genitori disposti a tutto per il bene dei propri figli (anche a rischiare l'impensabile), in Black Box non ci sentiamo mai particolarmente coinvolti da quanto accade sullo schermo. Il buon cast, in particolare Mamoudou Athie e Phylicia Rashad che riescono comunque ad essere piuttosto convincenti nella parte, non salva quella che poteva essere una storia molto intrigante, ma che invece ci ricorderemo, oltre che per una manciata di scene inquietanti, per aver sprecato una buona idea iniziale.
Conclusioni
Concludiamo questa recensione di Black Box, prodotto dalla collaborazione tra Blumhouse e Amazon Prime Video, sottolineando quanto questo film parta sì da delle buone premesse, ma non riesca però a svilupparle nel migliore dei modi. Il film di Emmanuel Osei-Kuffour ha dalla sua un buon cast e degli spunti molto interessanti, ma l'intreccio piuttosto prevedibile e lo scarso approfondimento dei personaggi non lo rendono una pellicola particolarmente memorabile.
Perché ci piace
- L'idea di partenza e certi spunti narrativi.
- Alcune scene piuttosto inquietanti.
- Il buon cast, in particolare Mamoudou Athie e Phylicia Rashad.
Cosa non va
- L'intreccio piuttosto prevedibile.
- Lo scarso approfondimento psicologico dei personaggi, in particolare dei villain.
- Certi temi, come quello della violenza domestica, andavano approfonditi di più.