L'apertura della Mostra del Cinema di Venezia, quest'anno, è stata all'insegna della commedia. Una commedia atipica, se si pensa che il suo autore è un regista come Alejandro González Iñárritu: il cinema del regista messicano, infatti, ci ha finora consegnato opere di tutt'altro tenore, che si esprimevano in genere in drammi collettivi e dalla struttura frammentaria. Birdman (o Le imprevedibili virtù dell'ignoranza) è invece un film diverso, a partire dal tema (un attore sulla sessantina, legato al ruolo di un supereroe, che tenta di rinnovarsi a Broadway) passando per i toni grotteschi e surreali, per finire con la sua messa in scena: lunghi piani sequenza e un impianto narrativo che occhieggia a più riprese al teatro.
A presentare il film al Lido, in un affollatissimo incontro stampa, sono intervenuti, oltre al regista, i membri principali del ricco cast: i protagonisti Michael Keaton ed Edward Norton, oltre alle comprimarie Andrea Riseborough, Emma Stone ed Amy Ryan.
La voglia di osare e l'importanza del passato
"Penso che dopo così tanti film drammatici, io abbia sentito il bisogno di uscire dalla mia 'zona di confort'", ha esordito il regista. "E' un po' come se, dopo tanto chili messicano, io abbia scelto di prendere un po' di dessert. Ho scoperto che quello della commedia è un universo molto bello, e sono contento di essermici cimentato. Ho usato uno stile narrativo per me nuovo; mi sono reso conto che, dopo tanti anni in cui hai fatto un certo tipo di film, se non fai qualcosa che in un certo senso 'ti fa paura', non vai da nessuna parte." Qualcuno ha chiesto poi al regista se, nella scelta di Michael Keaton per il ruolo principale, abbia in qualche modo influito il fatto che questi avesse in passato interpretato, col Batman di Tim Burton, un supereroe. "Non è stato solo questo", ha detto Iñárritu. "C'è stato anche qualcosa di più importante: credo che poche persone avessero la capacità e autorevolezza di affrontare il tema. Michael è stato il pioniere del supereroe globale. Sapevo che avrebbe portato qualcosa di molto potente al film, anche perché il tono era difficile da gestire: serviva qualcuno in grado di navigare tra dramma e comicità. Senza di lui, questo film non sarebbe stato possibile."
"Batman ha avuto un'influenza enorme sulla mia carriera", ha detto Keaton. "E' stato un film pionieristico, dentro c'era tutta una visione del personaggio. Le idee dei produttori di allora erano davvero fantastiche; ciò che ha fatto Tim era più 'tagliato' di una partita di cocaina, era un film studiato e assemblato meticolosamente, e io sono stato molto orgoglioso di averne fatto parte. Quel film è stato davvero qualcosa di diverso, un'opera dal respiro internazionale. Però non è che Batman mi 'insegua': io sono inseguito semplicemente dalla mia quotidianità, come ogni essere umano. Il tuo ego resta sempre con te, ma va dominato, deve rimanere nel sedile del passeggero."
"Tutti abbiamo un Birdman, nella propria vita", ha proseguito il regista "Quando ho incontrato Michael, gli ho proposto il ruolo e lui ha accettato, il coraggio e la "nudità" intellettuale che ha mostrato mi hanno stupito: non avevo mai lavorato con qualcuno con la stessa sicurezza di sé."
Girare in modo nuovo, e l'impatto della critica
Keaton ha poi risposto a una domanda incentrata sulla critica, e sul ritratto non proprio lusinghiero che di essa dà il film. "Io non leggo mai le recensioni", ha detto l'attore. "Sui critici non ho un'opinione precisa, ma il personaggio della critica teatrale, che c'è nel film, sicuramente dice cose non vere. Il film mi piace perché è audace, pazzo: è un'opera in cui ognuno ha un'uguale opportunità di partecipare, e io interpreto un personaggio nobile ma anche patetico. C'è una scena in cui il personaggio di Edward mi difende esplicitamente. quella è una scena che ho amato, la trovo molto bella."
Attori e regista hanno poi parlato del particolare impianto visivo del film, e della messa in scena così insolita per Iñárritu, fatta di lunghi piani sequenza. "Io sono cresciuta a teatro, e questa per me è stata forse una ripresa del teatro", ha affermato Andrea Riseborough. "Le riprese sono realizzate in modo che la magia della recitazione continui, senza interruzioni: questo fa in modo che il film rifletta la vita, e il teatro stesso". "Una delle cose più belle del fare film è l'intimità che si crea con gli attori e il cast tecnico", ha proseguito Norton. "Quando si lavora così, c'è la possibilità di affidarsi gli uni e gli altri, e questo vale non solo per regista e attori, ma per tutta la crew del film. Questo modo di riprendere crea un'intimità diversa, e la fine di ogni giornata è una festa."
"Io non sono iscritto a club o simili, non amo l'esclusività", ha sottolineato Keaton, "ma mi piace l'idea di squadra: lo staff di un film rappresenta il team ideale. Tutti, quando partono, non sanno come muoversi, ma poi il momento si supera: non bisogna mai vivere nella paura, la paura al contrario deve dare potere". "L'unica cosa più terrificante del fare il film, è stato il tentativo di spiegarlo dopo!", ha scherzato Emma Stone. "Quando guardi questo film, sei dentro la testa del personaggio: non sai mai se quello che vedi è un sogno o la realtà. Mi è piaciuto talmente tanto partecipare a questo film, che avrei voglia di rifarlo da capo."
"In his shoes"
Iñárritu ha poi approfondito il discorso sul punto di vista del film, e su come questo sia legato al modo in cui è stato girato. "All'inizio volevo che il pubblico si sentisse coi piedi nelle scarpe del personaggio", ha detto il regista. "Per fare in modo che si sentisse lo sforzo claustrofobico del protagonista, lo humour doveva venire dalle sue ambizioni frustrate di raggiungere il successo: in questo senso, è un po' la storia di tutti. Volevo che tutti raggiungessero il suo punto di vista. Io, nei miei film, ho sempre puntato sulle due fasi della lavorazione di un film: prima la frammentazione, la moltiplicazione dei punti di vista, e poi, in sala montaggio, la ricomposizione e l'eventuale cancellazione degli errori. Tutto nel cinema può essere riplasmato, manipolato, ma in questo caso nessuno ha potuto alterare ciò che era stato girato. Abbiamo fatto riprese molto lunghe, senza stacchi, ma ognuna è stata preceduta da decine di prove: non c'era improvvisazione, tutto è stato molto meticoloso". Qualcuno, a questo proposito, ha chiesto al regista se siano stati usati particolari accorgimenti tecnici per la realizzazione di riprese così lunghe. "L'audacia non è venuta dalla tecnica", ha risposto Iñárritu, "ma semmai dalla preparazione preliminare. La sceneggiatura era molto precisa, ci abbiamo lavorato scrupolosamente; e l'esecuzione è stata simile alle interpretazioni teatrali. Nulla è stato lasciato al caso".
Un'ultima battuta è stata riservata ad Amy Ryan, e all'ambientazione newyorchese del film. "New York era un po' un altro personaggio", ha dichiarato l'attrice. "Il film ha i suoi ritmi, i suoni, ma soprattutto c'è tutta l'energia che viene fuori dalla città. E' un film che non poteva essere girato in un altro posto".