Il 61° Festival del Film di Berlino, come ogni anno, si conclude col tradizionale incontro dei vincitori con la stampa internazionale. La cerimonia di premiazione, sobria e composta, ha vissuto il momento più commovente con l'arrivo della giuria, presieduta da Isabella Rossellini, compresa la sedia vuota di Jafar Panahi. In questa edizione della Berlinale l'Iran sale alla ribalta nel bene e nel male, vista la quantità di premi assegnati al drammatico Nader and Simin, A Separation di Asghar Farhadi, vincitore dell'Orso d'oro per il miglior film e degli Orsi d'argento per il miglior attore e attrice, assegnati all'ensemble degli interpreti del film. A inaugurare il tradizionale giro di dichiarazioni è Andres Veiel, regista dell'affresco storico tedesco If Not US, Who?, premiato con l'Alfred Bauer Prize Award, il quale afferma: "Ho scelto di affrontare questo particolare periodo della storia tedesca perché per noi è un argomento controverso. Il mio film cerca di spiegare perché Gudrun Ensslin decide abbandonare un'esistenza serena e armarsi per cambiare le cose, volevo raccontare la sua vita privata per rendere più chiare le sue motivazioni perciò ho rinunciato a un lavoro di tipo documentaristico per realizzare una pellicola narrativa che fa uso di fonti meticolose per raccontare la storia. Rispetto al documentario, un film può dire di più, colmare i vuoti, raccontare le cose accadute in un mondo diverso da quello canonico perciò ho scelto questa forma narrativa".
Emozionati e sorridenti i due sceneggiatori del bel The Forgiveness Of Blood Joshua Marston e Andamion Murataj. Il film è una coproduzione internazionale che vede coinvolta anche l'italiana Fandango di Domenico Procacci. Marston spiega: "Io non ero mai stato in Albania prima di aver scritto il film perciò il mio collega Andamion mi ha portato in giro per un mese per comprendere il funzionamento della cultura e degli usi locali. Ho deciso di dedicare il film al mio collega e all'Albania dopo aver compreso quanto per loro la tradizione sia importante. In Albania gli usi atavici hanno ancora un valore, i bambini entrano presto a contatto col mondo degli adulti e con le loro regole. Per capire come funziona questa società occorre approcciarvisi con la mente libera. Qaundo il film è uscito in Albania ha provocato discussioni, ma il nostro interesse era fotografare la vita di alcuni adolescenti coinvolti in faccende di adulti che si misurano con concetti come l'onestà e il desiderio di vendetta". Doppio premio nelle categorie tecniche per l'argentino El Premio che conquista ex aequo i riconoscimenti per la miglior fotografia (Wojciech Staron) e per e la scenografia (Barbara Enriquez). Wojciech Staron dichiara: "Per questo premio non posso che ringraziare la regista per avermi permesso di esprimere la mia personale visione della storia e la mia collega Barbara per la sua preziosa collaborazione. Insieme abbiamo creato un piccolo microcosmo. La scelta di girare l'intero film in un unico luogo durante l'inverno ci ha costretti a compiere un lavoro molto particolare perciò ci siamo affidati ai cambiamenti della natura. Personalmente ho fatto uso della mia esperienza nel mondo dei documentari per far si che ogni scena fosse nuova e vivida di fronte all'obiettivo della macchina da presa". Particolarmente emozionante è l'arrivo in sala degli attori premiati per il miglior cast femminile e per quello maschile. La giuria, infrangendo la tradizione, decide di attribuire i riconoscimenti per il miglior attore e per la migliore attrice al cast maschile e femminile di Nader and Simin, A Separation. A Berlino è presente solo una parte degli incredibili interpreti, tra cui le due giovani attrici Sareh Bayat e Sarina Farhadi, figlia del regista, accolte dalla stampa con un'incredibile ovazione. "Lavorare con Asghar Farhadi è stato molto bello perché è un regista di successo. E' molto serio, sul set è estremamente concentrato. Io sono un'attrice di teatro, non ho una lunga esperienza alle spalle, ma il successo di questo film è legato proprio al lavoro di Ashgar. Nel corso delle riprese ha provato a lungo con noi, ha ascoltato le nostre opinioni, ci ha fornito consigli e alla fine eravamo perfettamente in grado di interpretare i ruoli che ci erano stati richiesti" spiega Sareh Bayat. Le fanno eco gli attori che rappresentato la delegazione maschile. Ecco le parole di Babak Karimi, interprete di About Elly: "Asghar mi ha chiesto in modo molto diretto di utilizzare i miei strumenti per superare i miei limiti mettendo in scena sentimenti complessi. Recitare con lui è stata una delle migliori esperienze della mia vita, anche perché mi sono trovato ad avere a che fare con un cast incredibile. Sul set mi sentivo circondato da un senso di forza. Grazie al sostegno di tutti gli altri attori e del resto della crew sono stato in grado di realizzare ciò che Asghar aveva in mente. Quando abbiamo iniziato le riprese dovevo cancellare dalla mia mente l'idea stereotipata del personaggio che ero stato chiamato a interpretare, così ho parlato con molti giudici per capire come funziona il loro lavoro. Coloro che affrontano questo mestiere sono costretti a sedersi ogni giorno su uno scranno e giudicare le altre persone, ma questi giudici hanno a loro volta delle vite private. Quello che ho cercato di fare è mettere in scena la loro dimensione umana, trasformando il mio personaggio in una persona. Abbiamo cercato di realizzare questa pellicola nel miglior modo possibile e questo premio mostra come la giuria abbia apprezzato il nostro lavoro, incrementando nello stesso tempo la nostra responsabilità a far sempre meglio in futuro". Gioca in casa il regista tedesco Ulrich Kohler, che per il lento e a tratti visionario Sleeping Sickness ha tratto ispirazione dall'infanzia trascorsa in Africa: "Sono molto felice per questo premio. Non mi sarei mai aspettato un riconoscimento così importante. Spero che molti altri film girati in Africa vengano mostrati qui a Berlino. Rispetto a Bela Tarr ho avuto meno tempo per poter narrare la mia storia, ma non credo che il ruolo di un regista sia quello di spiegare il significato dei propri film. Il regista deve osservare la realtà e trasformarla in storie potenti, che coinvolgano il pubblico. Vorrei aggiungere una cosa. Voglio lanciare un appello per la liberazione di Jafar Panahi e ho ragioni molto egoistiche per volere questo autore di nuovo al lavoro, visto che amo molto le sue opere. La legge iraniana sta compiendo un enorme errore. Quale governo impedisce ai suoi più grandi artisti di potersi esprimere? Spero che Jafar sia in grado di poterlo tornare a fare al più presto". Dopo essere stato evocato, un sorridente e rilassato Bela Tarr si presenta di fronte alla stampa a mani vuote. A quanto pare il gran premio speciale della giuria consegnatogli poco prima per il capolavoro The Turin Horse è nelle mani di un amico. "Il mio lavoro di regista è quello di parlare con il pubblico. Per me è importante mostrare qualcosa allo spettatore, creare un feeeling, una sorta di comunicazione. Per quanto riguarda la cupezza presente nel film, il mondo è cupo, è pieno di dolore e di sofferenza. Avete trovato gioia e felicità nel mondo? Non credo. Forse qualcuno è più fortunato, ha più chance di altri, ma tutti gli uomini, alla fine, condividono lo stesso destino. The Turin Horse è il mio ultimo film e in esso è contenuto tutto ciò che ritenevo necessario mostrare. Per me a questo punto non avrebbe più senso continuare a fare film perché rischierei di ripetermi. Potrei continuare come produttore per lanciare giovani meritevoli tentando di cambiare il sistema economico e di migliorare la situazione invece di insistere nel mio cinema, ma in questo momento la situazione è molto difficile" conclude Tarr.E' la volta di Ashgar Farhadi, premiato con l'Orso d'oro per Nader and Simin, A Separation. Dopo aver ricambiato il caloroso abbraccio del collega Bela Tarr, Farhadi si rivolge alla stampa dichiarando: "Questo premio per me è importantissimo perché permetterà a molte persone di avere l'opportunità di vedere il mio film in varie parti del mondo. Credo che la potenzialità del film sia quella di avere la capacità di spingere le persone a porsi delle domande. Ogni essere umano ha la missione di supportare la diffusione delle idee e dei movimenti pacifici. Non credo che il mio premio dipenda dalla situazione attuale di Jafar Panahi. So che la Berlinale sostiene Panahi, ma questo è un premio legato alla qualità del film e non a tutto quello che vi ruota attorno. Continuerò a realizzare film in cui credo e a concentrarmi unicamente su ciò che accade sul set, non al di fuori. Io non sono un eroe, solo un regista e tutto quello che voglio è esprimere me stesso attraverso il mio lavoro. Credo che il cinema sia un media nobile e che debba avere la libertà necessaria per poter narrare storie senza vincoli politici o di censura, ma vivendo in Iran ci sono solo due possibilità: posso lanciare proclami contro il governo, ma così anche io, come Panahi, potrei finire nei guai e non fare più film oppure posso tacere e parlare attraverso le mie pellicole. Questa è la mia sola possibilità di esprimermi".