Un bel contenitore, una forma curata e accurata può, nel mondo dell'audiovisivo, spesso trarre in inganno sul valore di un film. Uno stile impeccabile può fare, dunque, da specchietto per le allodole e ridurre lo spettatore a ritrovarsi con poco o niente in mano, a fine pellicola? È questo il caso che analizzeremo con la recensione di Beauty, storia di un talento della musica in ascesa diretto da Andrew Dosunmu e scritto da Lena Waithe, attrice e produttrice, conosciuta per Ready Player One e per serie come The L Word: Generation Q.
Anni '80, New Jersey, Beauty, questo il suo nome, è un'adolescente afro-americana che scopriamo essere un talento della musica. Non ascolteremo mai la sua voce per tutto il film ma, che sia dotata, è un dato di fatto che diamo per assodato dal primo fotogramma, grazie al modo celebrativo con cui Dosunmu la ritrae. Beauty (Gracie Marie Bradley) appartiene ad una famiglia patriarcale molto devota a Dio, composta di un padre-padrone, un Giancarlo Esposito autorevole e in parte, che vede in Beauty una fonte di denaro e successo, una madre, interpretata da Niecy Nash che dietro le sue reticenze all'ascesa di Beauty, nasconde l'invidia per non essere riuscita nello stesso intento anni addietro e infine due fratelli, che, per tenere fede all'origine dei loro nomi, Abel e Cain ( Caino ed Abele) si odiano profondamente.
Beauty è anche innamorata, di una ragazza, Jazz (Aleyse Shannon), nome, sospettiamo, anche un po' simbolico della passione musicale della ragazza ed è a un bivio, alla scelta tra l'intraprendere la via del successo, offerta dalla manager "bianca" interpretata da Sharon Stone o ritrarsi.
Chi conosce un po' di vita oltre le scene dell'indimenticata Whitney Houston, avrà una sensazione di deja-vu, per le similitudini tra l'inizio di questa storia e ciò che oggi sappiamo della vita della cantante, anche agli esordi. Ad alimentare questa sensazione di familiarità, c'è la passione, da sempre dichiarata, di Waithe per l'interprete di I Will always love you. Beauty è un film dalla forma e lo stile impeccabile, grazie anche alle influenze di Dosunmu che applica le sue conoscenze e abilità nel videoclip a questa storia che però, come si può immaginare, assume sempre più la forma di un lunghissimo video musicale. Il contenuto, invece, che evoca appunto gli inizi di Whitney Houston, non ha sostanza, manca di una protagonista che viva veramente le battaglie interne che la storia ci indica esserci. Neanche il suo legame con Jazz, avversato da genitori e fratelli è una linea narrativa abbastanza forte da venirne coinvolti. Sulla carta ci sarebbe tantissimo su cui lavorare ma nell'esecuzione, tutto si perde nella musica di sottofondo e montaggi sognanti.
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Il giusto tempo per il successo
Parliamo di anni '80, sappiamo di esserci per l'abbigliamento, le auto, l'ambientazione ma tutto in Beauty sembra essere messo lì come a decorare una stanza, un quadro. Così, quando a pochi minuti dall'inizio, ci ritroviamo seduti insieme a Beauty, madre e padre ad un tavolo con la manager, una Sharon Stone trascurabile, che bussa alla porta del talento della ragazza, risulta già difficile comprendere veramente i dubbi e le incertezze dei suoi genitori. "L'industria della musica è il diavolo" dice la madre di Beauty e già siamo in aria di frase fatta. In questa sorta di atmosfera astratta e rarefatta attorno a un tavolo, apprendiamo un altro concetto a cui dobbiamo credere senza che il film ce lo faccia comprendere: Beauty è il talento giusto al momento giusto. C'è un tempo giusto per il successo e Beauty, a differenza della madre che era in anticipo sui tempi, "è in perfetto orario". Andrew Dosunmu e Lena Waithe non supportano le parole che mettono in bocca ai loro protagonisti con i fatti ma ci costringono ad accontentarci del dichiarato. Pensare a Whitney Houston forse è l'unica soluzione possibile per trovare il giusto coinvolgimento in questa storia. Neanche Gracie Marie Bradley riesce ad andare oltre il phisique du role perfetto.
Il Mondo non è pronto
Nella storia d'amore che lega Beauty a Jazz per cui, come recita la madre (Niecy Nash) il "mondo non è pronto" saremmo anche disposti ad investire emotivamente ma, anche qui, dobbiamo accontentarci di una battaglia solo dichiarata e mai veramente combattuta. Si dice che Whitney Houston avesse avuto una storia con la sua assistente Robyn Crawford e che avesse messo la parola fine alla loro relazione proprio perché, all'epoca, i fan, il mondo della musica tutta, non gliel'avrebbero perdonata. Sarebbe stato emotivamente coinvolgente dunque, specialmente nel mese del pride, assistere al tormento, alle passioni ed alle rinunce, percepite come inevitabili, di una giovane donna destinata a diventare una star, mentendo però a se stessa nel profondo. Come già detto, a questo percorso di Beauty non assistiamo veramente, ce lo dobbiamo immaginare, insieme alla sua voce che non ascoltiamo mai.
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Aretha Franklin, Donna Summer, Patti LaBell al posto di Whitney
Sono infatti le voci di Aretha Franklin, Donna Summer, Patti LaBelle e tantissime altre star della musica a dare "voce" alla storia di Beauty, come se la ragazza, il suo percorso, fossero solo uno schema da seguire per portare a compimento un film, un cammino teorico. Lena Waithe avrebbe voluto raccontare Whitney Houston, non poteva farlo e si è accontentata di celebrarla velatamente, lasciando allo spettatore la possibilità di riempire il vuoto creato da lei e dal regista Andrew Dosunmu, un vuoto però difficile da colmare interamente.
Immaginare è una funzione fondamentale per chi guarda, ma non può sostituirsi interamente anche al bisogno che c'è di sentire, quasi palpare, immedesimarsi in un personaggio e il suo percorso. Tutto questo processo, in Beauty non può avvenire pienamente e senza sostanza rimane solo forma e molta buona musica.
Conclusioni
A fine recensione di Beauty, un biopic non autorizzato degli inizi di carriera di Whitney Houston, confermiamo che una buona confezione, uno stile impeccabile non possono sostituirsi a dei contenuti carenti. Il regista Andrew Dosunmu e la sceneggiatrice Lena Waithe lasciano allo spettatore immaginare la voce di Beauty e purtroppo anche le sue battaglie e questo lascia un vuoto insostituibile nel film. Non resta che attendere il vero biopic di Whitney per provare a sognare e commuoverci sulle note di I’m every woman.
Perché ci piace
- Il film è stilisticamente impeccabile, un lungo videoclip pieno di bei visi e belle immagini.
- I genitori di Beauty, interpretati da Giancarlo Esposito e Niecy Nash sono perfetti nel rappresentare due tipi di avversità diverse.
Cosa non va
- Lascia immaginare senza veramente affrontare, le battaglie e le rinunce che arrivano insieme al successo.
- Non vive a pieno la storia d’amore tra Beauty e la sua ragazza Jazz.
- È troppa forma e pochissima sostanza.