Che sia mastodontico non c'è dubbio: 165 minuti, tra crime e romance, costruiti da Gilles Lellouche seguendo le pagine del romanzo di Neville Thompson, Jackie Loves Johnser OK?. Il romanzo, datato 1997, ha inspirato Beating Hearts (titolo francese L'Amour ouf), un'opera che il regista si porta dietro da diverso tempo, con la prima stesura della sceneggiatura risalente addirittura al 2013, quando iniziò a buttar giù lo script insieme a Benoit Poelvoorde, che però abbandonò il progetto. Che il soggetto sia cinematico non c'è dubbio (amore e crimine vanno sempre d'accordo), qualche perplessità in più arriva però dall'applicazione che Lellouche imprime al suo film, spesso appesantito da una regia costantemente presente, e per certi versi invasiva rispetto all'architettura generale.
Come se il regista cercasse in Beating Hearts una certa auto-affermazione, riversando nel film - che ha inseguito per anni - tutta la sua voglia e tutta la sua passione. In effetti, con un budget notevolissimo (32 milioni di euro), quella presentata in concorso a Cannes (il concorso ci è sembrato eccessivo) è una pellicola ambiziosa che, secondo Lellouche (evitiamo paragoni ingombranti), dovrebbe mischiare Scorsese a Wes Side Story. Condizionale obbligatorio, perché poi quello che conta è il risultato finale. Se le quasi tre ore sono oggettivamente poco sostenibili (se non controllate al meglio, chiaro), la noia non è mai parte della visione. Ciononostante, l'epopea criminosa e romantica di Beating Hearts lascia poco, considerando il colossale e smanioso racconto messo in circolo dal regista.
Beating Hearts, epopea criminale
Un film in circolo, perché Beating Hearts inizia dalla fine, prima di narrare la storia completa. Del resto, sembra che la circolarità, anche nello stile registico di Lellouche, sia il metro di misura (la camera poggiata su un fulcro, che ruota inquadrando i diversi punti di vista). I protagonisti sono Clotaire (interpretato da Malik Frikah e poi da François Civil) e Jackie (Mallory Wanecque e poi da Adèle Exarchopoulous). Clotaire, nato e cresciuto criminale (ma ha il cuore d'oro), si ammorbidisce quando conosce Jackie. Ma il ragazzo, coinvolto da una banda di fuorilegge, finisce in prigione, per dieci anni. Beating Hearts, infatti, parte dagli anni Ottanta, allungandosi fino alla fine degli anni Novanta. Quando Clotaire esce di prigione, prova a rintracciare Jackie, che però ha cambiato vita, sposandosi con Jeffrey (Vincent Lacoste).
Una storia d'amore criminale e pacchiana
Beating Hearts cerca le strade dell'amore all'interno di un climax esasperato dalla criminalità, che fa da sfondo ad una vicenda debitrice ad innumerevoli opere similari. Lo stile di Lellouche è frenetico, spesso troppo calcato, appoggiandosi ad un'emotività alcune volte ridondante, rifacendosi appunto ad una messa in scena che ricalca quella dei musical (barocco e coreografico). Nessuno canta (per fortuna), e allora a far da padrona sarà la colonna sonora spesso accentuata, che si mescola ad artisti come The Cure, Prince e The Alan Parsons Project. L'effetto c'è, non lo neghiamo, ma il compiacimento è tale che mina anche gli interessanti spunti narrativi.
Come scritto, il film, diviso in due, tende ad esaltare il fattore romance in un panorama livido e inospitale (ma squarciato dalla luce, su cui lavora bene Laurent Tangy). Almeno nella prima parte, quella oggettivamente più riuscita nel romanticismo disperato inteso dal regista (tuttavia anche decisamente pacchiano). La seconda metà, nell'epoca "adulta", perde la morsa, e la tensione si allenta. La forza cinetica, però, non si placa, e anzi Gilles Lellouche continua ad illuminare l'amore rincorso tra Jackie e Clotaire, personaggi mono-dimensionali alla ricerca di uno splendore che, forse, troveranno in quella semplicità che sembra non appartenere al regista.
Conclusioni
Tre ore piene, di romanticismo e criminalità, miscelate da Gilles Lellouche nel suo Beating Hearts. Coreografico, lunghissimo e smanioso, il film presentato in concorso a Cannes soffre uno script poco originale che affoga in una messa in scena auto-compiaciuta. Se Francois Civil tiene bene il ruolo da protagonista, l'evoluzione narrativa è migliore nella prima parte. Nonostante tutto, potrebbe piacere.
Perché ci piace
- Francois Civil è molto bravo.
- La colonna sonora e la soundtrack.
- Potrebbe piacere al grande pubblico.
Cosa non va
- Spesso smanioso e pacchiano.
- Dura tre ore. Troppe.
- Niente di troppo originale.