Battle Royale, la recensione: i tre giorni su un'isola deserta più importanti del cinema moderno

La recensione di Battle Royale di Kinji Fukasaku, per la prima volta nei cinema italiani dal 20 ottobre grazie a CG Entertainment in versione director's cut restaurata.

Battle Royale, la recensione: i tre giorni su un'isola deserta più importanti del cinema moderno

All'alba del nuovo millennio sono stati diversi i titoli che possono essere tranquillamente ricordati oggi come vere e proprie folgorazioni, soprattutto tra quelli provenienti dall'Asia. La tigre e il dragone, premiato agli Oscar, o In the Mood for Love, mattatore a Cannes, ma anche Audition, senza dimenticare che sarebbe bastato qualche mese di attesa per poter ammirare La città incantata di Miyazaki-sama. Nella recensione di Battle Royale abbiamo l'opportunità di parlare di uno di questi capolavori, testimoni della ricchezza straordinaria di una corrente cinematografica che proprio in questi ultimi anni ha, se ce ne fosse ancora bisogno, ottenuto il riconoscimento internazionale forse definitivo, sia a livello "istituzionale" che di pubblico. Quella di un rivoluzionario come Kenji Fukasaku è stata, semplicemente, la più grande opera politica del cinema giapponese contemporaneo, nonché una delle espressioni maggiormente influenti nel mondo audiovisivo degli anni duemila, sia autoriale (scontato nominare Tarantino che tributò il cineasta giapponese in Kill Bill Vol.1) che commerciale e sia nordamericano che asiatico (pensate alla saga di Hunger Games o al recentissimo fenomeno Squid Game).

Un'immagine del film Battle Royale
Un'immagine del film Battle Royale

Tratta dall'omonimo romanzo di Koushun Takami, che poi si occupò anche del manga, la pellicola significò tantissimo anche a livello personale per Fukasaku, tant'è che fu scritta dal figlio Kenta, il quale gli subentrò nella regia del sequel, Battle Royale II: Requiem del 2003, dopo la sua prematura scomparsa. Battle Royale fu il suo biglietto da visita al pubblico internazionale dopo più di 40 anni passati a cambiare il cinema giapponese in patria (Lotta senza codice d'onore del 1973 è stato di fatto il capostipite dei film sulla yakuza) e rappresentò un sunto di una dialettica passata ad elaborare il lutto postbellico della popolazione giapponese (ne è ulteriore prova la sua partecipazione a Tora! Tora! Tora!, film sull'attacco a Pearl Harbor), delusa da anni e anni di governi autoritari che ormai promettevano solamente macerie.
L'occasione di questa recensione è straordinaria, perché Battle Royale arriverà finalmente nelle nostre sale il 20 ottobre 2022 in una versione director's cut restaurata grazie a CG Entertainment.

BR act.

Una scena del film Battle Royale
Una scena del film Battle Royale

In un prossimo futuro il Giappone è ormai divenuto un Paese allo sbaraglio. Disoccupazione, povertà, aziende al collasso, società in preda all'anarchia e, soprattutto, una nuova generazione ormai in guerra aperta con la precedente, rea di aver creato un mondo inadatto in cui sta ingabbiando i giovani, non permettendo loro di costruirsi un futuro.
Per frenare i disordini sempre più violenti e fuori controllo il governo corre ai ripari e decide di varare il "Millennium Educational Reform Act", conosciuto anche come "BR act.", una legge che prevede l'estrazione a sorte di una classe di studenti delle superiori (sotto i 15 anni di età) per costringerli a prendere parte ad una Battle Royale, ovvero un sadico gioco di sopravvivenza.

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Battle Royale: una scena del film

Le regole sono semplici: i partecipanti devono passare tre giorni su un'isola disabitata con l'unico scopo di uccidersi la vicenda, poiché il gioco terminerà solo nel momento in cui rimarrà solamente un sopravvissuto. Prima dell'inizio a ciascuno dei concorrenti viene consegnata una sacca nella quale troverà una mappa dell'isola, una bussola, una torcia, qualcosa da mangiare e un'arma assegnatagli in modo del tutto casuale. In caso che rimanga più di un ragazzo vivo al termine del tempo predisposto, il comitato si occuperà di far esplodere i collari elettronici che sono stati fissati ad ogni partecipante.

Alla scoperta del cinema giapponese contemporaneo

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Battle Royale: una scena del film

L'eredità di un Giappone alla deriva

Takeshi Kitano in una scena del film Battle Royale
Takeshi Kitano in una scena del film Battle Royale

Tanto fecero discutere romanzo e film tra le stanze delle istituzioni quanto ebbero successo tra il pubblico nazione ed internazionale. Soprattutto la pellicola di Fukasaku fu oggetto di vere e proprie sessioni parlamentari, oltre ad una feroce censura che ne limitò la distribuzione arrivando in casi estremi al divieto vero e proprio. Battle Royale è stato partorito da una mente che non solo si è dimostrata capace di condensare il livore giovanile di un'intera generazione vessata da una violenza politica, psicologica e fisica dimostratasi alla fine insensata da parte di un sistema governativo traditore, ma anche di fare un'incredibile gesto di mea culpa, consegnandosi, di fatto, come un ennesimo carnefice. Un carnefice nostalgico, disperato, spezzato, vittima della sua stessa ottusa crudeltà. Straordinario in questo senso il personaggio interpretato da Takeshi Kitano, ritratto perfetto della generazione descritta. I protagonisti non sono i giovani che erano (anche se qualche nota positivo in questo senso sparsa qua e là c'è), ma sono i nuovi adolescenti, intrappolati in un sistema educativo e poi sociale talmente tanto competitivo da diventare disgregante. La corsia preferenziale per l'autodistruzione.

La società dei ragazzi

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Battle Royale: una scena del film

Se è vero che il gioco rappresentato fa le veci di una lente rivelatoria, anzi, spietatamente rivelatoria, della realtà sociale giapponese, l'autore capisce come sia importante soprattutto concentrarsi sull'analisi dell'evoluzione dei ragazzi partecipanti, non caso tutti finemente scritti, i quali, nonostante le regole non ammettano repliche, riescono a non rimanere completamente vittime della violenza alla quale sono chiamati.
Di fatto è proprio l'uso e la resa della violenza rappresentata da Fukasaku, mai gratuita, reiterata o banale, a racchiudere il senso sia filmico che sociale di Battle Royale. Il mondo che descrive comunica attraverso di essa, adoperata per far emergere la brutalità e l'alienazione, il senso di autoconservazione che prevarica sentimenti e legami; ma anche far risaltare quanto di più poetico è rimasto all'interno di una realtà in cui esiste comunque un senso di comunità, famiglia e amore (anche se possono essere trovati più che altro nella dimensione onirica) accanto alla crudeltà figlia della disumanizzazione. Deve essere difeso, deve armarsi anch'esso, ma esiste. Questo è ciò rende questo film così potente, attuale, consapevole e, in un certo senso, ottimista come pochi altri nella storia recente del cinema.

Conclusioni

Nella recensione di Battle Royale, il capolavoro del 2000 di Kenji Fukasaku tratto dall'omonimo romanzo di Koushun Takami, vi abbiamo parlato di uno dei film giapponesi più importanti dell'era moderna. Un istant cult esempio di cinema politico talmente alto da innovare l'intero panorama internazionale, nonché meritata consacrazione per uno dei cineasti più consapevoli, intelligenti e, in qualche modo, ottimisti della sua generazione.

Movieplayer.it
4.0/5
Voto medio
3.8/5

Perché ci piace

  • La scrittura e la regia sono eccezionali.
  • La prova attoriale di Takeshi Kitano è semplicemente indimenticabile.
  • L'efficacia della denuncia politica, avvalorata dall'uso di una violenza sempre opportuna e mai gratuita.
  • La capacità di mantenere una speranza accesa e una visione ottimista, seppur reazionaria, nei confronti del futuro.
  • Dal punto di visa cinematografico poche pellicole hanno avuto un'influenza paragonabile ad essa nell'era moderna.

Cosa non va

  • Nessuno.