"Tutto ha a che fare con il sesso, tranne il sesso, quello ha a che fare con il potere"
Lo diceva Oscar Wilde per poi essere ripreso dal Frank Underwood di House of Cards. Beh, prestate attenzione perché Babygirl conferma e allo stesso tempo sconfessa questa affermazione e lo fa con una maestria che mai ci saremmo aspettati. Negli ultimi anni Nicole Kidman, come attrice e produttrice, sembra scegliere con attenzioni i progetti a cui aderire: pellicole non sempre riuscite ma che comunque presentano al loro interno dei personaggi che fino a poco tempo fa avremmo ritenuto, ovviamente a torto, poco convenzionali.
Nel prediligere questi ruoli, la Kidman ha quindi abituato la platea a figure femminili sfaccettate e spesso in contrasto con loro stesse o con il mondo che le circonda, vero comune denominatore della sua carriera. Non ci ha stupito, quindi, il suo personaggio nel film dell'olandese Halina Reijn, presentato in concorso all'ottantunesima Mostra del Cinema di Venezia. Un thriller erotico - anche se questa definizione gli va piuttosto stretta - che punta a sovvertire i cliché di genere "ingannando" lo spettatore con una confezione piuttosto classica ma che contiene molto più di quello che, ad un primo sguardo, sembra promettere.
Nicole Kidman e ruolo contro gli stereotipi
Romy è l'amministratrice delegata di una grande azienda che si occupa di tecnologia, ha una famiglia amorevole e piuttosto convenzionale composta da un marito (Antonio Banderas) e due figlie. Quando in ufficio arriva, però, Samuel (Harris Dickinson), un'enigmatico stagista, le cose cambiano. Nella donna sembrano emergere con prepotenza pulsioni e desideri repressi che contribuiranno a creare un'attrazione quasi istantanea con il suo sottoposto. Quella che si instaurerà tra di loro è una relazione, principalmente sessuale, nella quali i confini di potere diventano labili e mutevoli. Romy non riesce a non desiderare quel rapporto così libero e fuori da ogni consuetudine, anche se questo potrebbe mettere a repentaglio tutto ciò che ha costruito in anni. In questa visione, quindi, chi detiene lo scettro del potere? Non sarà così semplice capirlo.
Da Triangle of Sadness a Babygirl: Harris Dickinson, sorriso killer e aurea elettrica
Babygirl si fa gioco del thriller anni '90
Babygirl, all'inizio, è quasi respingente. La facciata da thriller altro non è che uno specchietto per le allodole: una traccia su cui costruire altro. La scelta del genere, però, non è ovviamente casuale: il lungometraggio sembra infatti voler fare il verso a quei film tesi e muscolari che tanto amavamo negli anni '80 e '90 ma che ci proponevano delle figure, quasi sempre maschili, ben definite e riconoscibili che con gli anni sono diventate marchio di fabbrica di queste produzioni. L'opera di Halina Reijn riprende quell'immaginario e lo sovverte completamente, invertendo le parti e rimescolando i ruoli.
Con una scrittura precisa, quasi chirurgica, alza poi la posta in gioco parlando di rapporti umani, di convenzioni sociali, di ambizione, di scontro generazionale, ma soprattutto di consenso. Più volte viene ribadito che la relazione tra Romy e Samuel, per quanto folle verte sul consenso, su un accordo chiaro tra le due parti, elemento fondamentale scelto come punto cardine della storia oltre che di una qualsiasi tipo di relazione. Perché anche cambiando l'ordine degli addendi il risultato non cambia: ciò che fa veramente la differenza sono le intenzioni, la possibilità di dire basta, la presenza di una consapevolezza condivisa.
Un film sul sesso? Forse no
Non aspettatevi quindi una pellicola che fa della sensualità il suo carattere distintivo, perché qui l'erotismo è un semplice gancio per spingere lo spettatore a riflettere su altro. La stile di regia, la fotografia e la colonna sonora concorrono a rendere l'idea del thriller fiorita nel Secolo scorso, per poi inscenare un sesso carnale, riflesso della mente della protagonista, che vira spesso nel grottesco, sviando, forse un po' troppo in alcuni momenti, l'attenzione dai temi principali e suscitando un'ilarità, certo voluta, ma a volte fuorviante. Non possiamo comunque considerare questo come un peccato capitale, perché Babygirl è un film talmente spiazzante e stratificato che siamo sicuri resterà tra i migliori di Venezia 81. E tra i migliori dell'anno.
Conclusioni
L’intenzione d Babygirl è fin da subito chiara: sovvertire i ruoli di genere ormai obsoleti facendo, nel frattempo, anche il verso a quella filmografia di genere che, negli anni ‘80 e ‘90, ha contribuito a rafforzare alcune diversi cliché rimasti poi inviolati negli anni a venire. Una nuova visione della donna e del sociale che diventa anche scontro generazionale. La scrittura è precisa, chirurgica nel mettere in luce in modo più o meno sottile gli stereotipi di genere per poi decostruirli uno per uno, pezzo per pezzo. Non aspettatevi però un film sensuale: il sesso in Babygirl è carnale, riflesso della mente della protagonista, il che da vita a scene che scadono spesso, forse un po’ troppo spesso, nel grottesco ma che non fanno comunque mai perdere valore alla pellicola.
Perché ci piace
- La scrittura calibrata e precisa che tratteggia un film stratificato.
- I personaggi e i loro interpreti, prima tra tutti Nicole Kidman.
- L’escamotage del film di genere, usato come traccia per raccontare il passato.
- Le scene di sesso a volte grottesche…
Cosa non va
- …che in qualche momento risultano fuorvianti.