Attilio Azzola: 'Nei miei Diari racconto i veri giovani'

Arriva in sala, con una distribuzione piuttosto limitata, l'opera prima del regista milanese, presentata con successo al Festival di Cannes dello scorso anno. Attilio Azzola ci racconta il percorso sostenuto per arrivare a realizzare un film che racconta i giovani cercando di smarcarsi da ogni stereotipo.

Ad oltre un anno di distanza dal Festival del cinema di Cannes del 2008, dove è stato presentato portando a casa il Grand Prix Ecrans Juniors, arriva finalmente in sala Diari, film in tre episodi dedicato al mondo dell'adolescenza, diretto dall'esordiente Attilio Azzola. La sua sarà però una distribuzione estremamente limitata: dopo aver battuto i festival di mezzo mondo, la vita italiana di Diari comincia infatti in sordina, esordendo da domani 19 giugno in due sole sale quali il Cinema Eden a Roma e il Fratelli Marx di Torino. Seguiranno poi l'Ambasciatori di Napoli e altre uscite mirate a Milano e a Vicenza, mentre tra luglio e agosto si punterà sulle arene estive e a settembre partiranno le matinée per le scuole.

Al centro del film l'universo degli adolescenti, che il regista ha scelto di raccontare da un punto di vista lontano rispetto agli stereotipi del più recente cinema giovanilistico, teso a dipingere la gioventù italiana come "bruciata o demente". Protagonisti di Diari una ragazza costretta a confrontarsi col padre dopo un'assenza di dieci anni e un giovane tunisino innamorato della ragazza più antipatica della scuola. I loro destini si incroceranno nell'episodio finale, legato a un anziano professore con il sogno di ritrovare l'amore della sua vita. L'indagine sul mondo giovanile che ha portato al film è stata sviluppata dal Progetto Diari, un percorso di formazione sviluppato dallo stesso Azzola con l'educatrice Maria Grazia Braghi nel territorio della Brianza, che ha proposto seminari di cinema ai ragazzi che hanno così partecipato al film come attori o come tecnici con le conoscenze acquisite. Abbiamo incontrato Attilio Azzola per parlare di adolescenza e del suo interessante Progetto che ha promosso la cultura del cinema tra i giovani e che molto presto avrà un seguito con nuovi laboratori e seminari.

Com'è nata l'idea di Diari?

Attilio Azzola: L'idea parte da un mio lungo viaggio personale all'interno dell'adolescenza, sia artistico, con i due corti che ho realizzato su questa tematica, ma anche formativo. L'ostacolo maggiore nel fare il film era trovare attori adolescenti, che qui da noi non esistono, perché l'Italia non è certo l'America. Sapevo che avrei dovuto andare a cercarmi gli attori e quindi mi sono inventato il Progetto Diari, una proposta che si rivolgeva ai ragazzi dell'hinterland milanese, perché intraprendessero un percorso di formazione attoriale. Abbiamo fatto uno screening con circa cinquecento ragazzi; di questi, sessanta hanno fatto seminari di recitazione dai quali sono venuti fuori gran parte dei protagonisti del film, ad eccezione di Roisin Greco che interpreta Leo. Altri ragazzi sono poi stati indirizzati verso l'approfondimento di altri aspetti dell'universo cinematografico, come la sceneggiatura, per capire cosa c'è al di là dello schermo, e al termine sono entrati a far parte della troupe. Insomma, c'è stato uno scambio reciproco: loro davano a noi la materia viva per il film, le loro esperienze, e noi trasmettevamo loro un'infarinatura del mondo del cinema. E' stato un percorso di sette mesi che mi è stato molto utile a livello creativo. Al momento in cui siamo andati a scrivere la sceneggiatura questa prossimità così forte con i ragazzi, i protagonisti del mio film, mi ha aiutato infatti a capire meglio di chi stessi parlando. Ne è venuto fuori un ritratto un po' intimo e non soltanto esteriore degli adolescenti.

Perché questo interesse per gli adolescenti?

Attilio Azzola: Ci troviamo in un momento epocale in cui tutti si occupano di adolescenti e di giovani in generale, parlando dell'Italia come priva di speranza. Invece tra i privilegi dei giovani c'è ancora la possibilità di sognare. La loro è un'età piena di conflitti e un regista va sempre a ficcarsi nei punti dolenti della società. Ci sono tanti film sui giovani, tante trasmissioni su quelli che aspirano a fare gli artisti, ma in pochi si interessano a quello che questi ragazzi pensano davvero. Io volevo fare un ritratto diverso, più interiore, dell'adolescenza. Ogni corto che ho fatto in precedenza è stato un piccolo viaggio a sé, nei quali ho raccontato esperienze diverse da quelle che solitamente si vedono in giro e che sono abbastanza deleterie, facendo passare l'adolescenza o come bruciata o come demente.

Cosa ha raccontato di diverso lei nel suo film?

Attilio Azzola: Io volevo tirare fuori le cose che più mi affascinano dell'adolescenza, gli alti e i bassi, i grandi entusiasmi e i grandi amori, il valore ancora fortissimo dell'amicizia, e naturalmente il rapporto padre-figlio, che è l'asse sul quale si articolano le tre storie. Nella prima storia si racconta di un mondo femminile apparentemente pacifico che viene scardinato dal ritorno di un padre per anni assente; nella seconda parlo di una famiglia tunisina tradizionale con un padre più affettuoso; nel terzo episodio invece, quando la storia si risolve, i due ragazzi considerano il vecchio una sorta di padre putativo capace di trasmettere loro qualcosa di diverso, in grado di insegnare loro l'importanza dei ruoli attraverso una danza come il tango, che è qualcosa che ormai i giovani non conosco più.

Perché ha scelto di rendere protagonista della terza storia un anziano in un film incentrato sui giovani?

Attilio Azzola: Mi piace molto la figura di Michele che di cognome fa Mancia e non a caso. Infatti, nello scrivere questo personaggio mi sono ispirato a Don Chisciotte; come lui, anche Michele ha la sua Dulcinea, una donna che probabilmente non esiste. E' un anziano che vive l'amore in maniera adolescenziale, mentre i due giovani vivono in maniera insicura i sentimenti.

Quanto delle sue esperienze personali c'è nel film?

Attilio Azzola: Temo proprio che in Diari ci siano più cose mie che dei ragazzi. Devo ammettere che ragazzi con certe capacità di scrittura sono davvero pochi, ma a me sono stati comunque tutti utili sul piano del linguaggio e nel rinfrescarmi certe dinamiche amicali. Il protagonista Amine Slimane ha poi fortemente condizionato il suo personaggio, perché nel frattempo siamo diventati amici e quindi sapevo bene come avrebbe reagito in certe scene e come avrebbe recitato certe battute. Tutte le storie narrate nel film rimbombano però delle mie passioni, dal tango ai fumetti. I ragazzi non hanno contribuito alla sceneggiatura, ma abbiamo coinvolto alcuni giovani nella composizione delle musiche. Se infatti tre musicisti professionisti hanno curato ognuno un episodio a testa, tre gruppi giovanili, i cui componenti avevano un'età media sotto i vent'anni, sono intervenuti nella colonna sonora con alcuni pezzi che dimostrano capacità musicali e d'interpretazione già molto mature.