Arrested Development 5, parte 2, la recensione: parenti serpenti su Netflix

La recensione degli ultimo otto episodi di Arrested Development 5, un ritorno (quasi) perfetto per la famiglia Bluth.

Law & Order e Arrested Development: una foto del crossover
Law & Order e Arrested Development: una foto del crossover

Quasi un anno fa, parlando dei primi episodi di Arrested Development 5, ci eravamo interrogati sulle tempistiche delle riprese in merito a ciò che stava accadendo nel mondo reale, in particolare a Hollywood e dintorni: il primo degli otto episodi arrivati su Netflix lo scorso maggio conteneva più di una scena in cui, per esprimere la loro sintonia di pensiero con gli interlocutori, i personaggi maschili dicevano "Me too", quelle due parole che, dalla fine del 2017, hanno acquisito un potere notevole (la comica Michelle Wolf c'ha scherzato sopra dicendo che in America le donne non possono più usare quella frase quando hanno un appuntamento al ristorante e vogliono ordinare la stessa cosa che ha preso il partner); e sempre in quella prima fetta di stagione c'erano gag che, volenti o nolenti, rimandavano alla controversia di Jeffrey Tambor, licenziato dalla serie Transparent per presunti comportamenti molesti. Considerando anche che gli otto episodi conclusivi sono stati messi a disposizione sulla piattaforma di streaming più o meno undici mesi dopo la prima parte, il sospetto che ci sia stato qualche rimaneggiamento è forte, dato che in questa sede l'argomento delle molestie viene evocato apertamente, facendo il nome di Harvey Weinstein.
Prima di approfondire questa recensione di Arrested Development 5, parte 2, una piccola, ma doverosa premessa: gli spoiler sono limitati al paragrafo finale, appositamente contrassegnato

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Una satira che graffia tutti, da Weinstein a Trump

Ma non è solo il produttore caduto in disgrazia a ritrovarsi nel mirino della satira graffiante e spietata di Mitchell Hurwitz: dalla conversione degli omosessuali alle trattative farlocche con società cinesi, senza dimenticare le elezioni del 2016 (i nuovi episodi confermano che siamo ancora nel 2015, prima che Donald Trump arrivasse alla Casa Bianca), tutto ciò che ha trasformato l'America attuale in una lunga, penosa barzelletta occupa una posizione di rilievo in questo nuovo resoconto delle disgrazie della famiglia Bluth. Disgrazie che sono tornate più o meno come erano: al netto dell'assenza generale di Lindsay (apparsa solo in una manciata di episodi a causa del ritiro dalle scene di Portia de Rossi), la quinta stagione è, nel complesso, Arrested Development così come l'avevamo scoperto e amato nel 2003, quando fu la Fox a puntare sulla comedy di Hurwitz. All'epoca il pubblico non era pronto per una serie in apparenza leggera dove in realtà veniva messo alla berlina tutto il sistema americano, compreso l'entertainment (non a caso furono chiamati in causa due simboli della televisione classica come Ron Howard e Henry Winkler, il duo protagonista di Happy Days). E per quanto le famiglie disfunzionali abbondassero sul piccolo schermo, dai Simpson ai Soprano, la particolarità dei Bluth era decisamente in anticipo sui tempi: anche i "meno peggio" del clan, come Michael e suo figlio, erano (e sono tuttora) poco simpatici.

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Tutti insieme appassionatamente (?)

Arrested Development: un nuovo poster della stagione 4.
Arrested Development: un nuovo poster della stagione 4.

Il DNA della serie è sostanzialmente immutato, compresa la mitica sigla narrata da Howard, ma un minimo di sintomo dei tempi che cambiano c'è: il passaggio da Fox a Netflix è ora sancito ufficialmente da un bip che copre a malapena le parolacce, e i titoli di testa, pur avendo la stessa struttura e lo stesso commento, non ruotano più attorno all'arresto di George Sr., accusato ai tempi di "un leggero, piccolo... alto tradimento!", bensì quello di Buster, principale indiziato per quanto riguarda la scomparsa e presunta morte di Lucille Austero. Sedici anni fa non vi era alcun dubbio sulla colpevolezza del patriarca, mentre la trama orizzontale del quinto ciclo di episodi ha optato per una presa per i fondelli del whodunit, con autori e spettatori perfettamente consapevoli della natura pretestuosa dell'operazione: l'indagine era solo una scusa per mettere in scena, con la solita estetica da mockumentary, tutti i comportamenti grotteschi a cui siamo abituati, con quella formula corale ineccepibile che ci regala momenti indelebili come quando Michael chiede ai genitori di non mentire, per una volta, al che la madre risponde "Non so di cosa tu stia parlando." Oppure la perla assoluta, nel nono episodio: Buster, accarezzando una mano artificiale, dice che gli ricorda sua madre, "però meno venosa e più calda."

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Per certi versi siamo dalle parti del best of, con ritorni come quello dell'immancabile Barry o dell'adorabile Gene Parmesan, incompetente ma irresistibile investigatore privato. Si evoca anche la mitica bancarella delle banane ("Ci sono sempre soldi lì"), eppure qualcosa è cambiato: forse anche per sopperire all'assenza di una delle attrici principali, gli ultimi quattro episodi contengono materiale ambientato nel passato, con Taran Killam e Cobie Smulders nei panni dei genitori. Flashback insoliti, non solo per il cambio di attori rispetto a scene simili nella quarta stagione, che stravolgono la formula e l'estetica dello show fino ad arrivare a un delirante, spassosissimo cortocircuito di realtà e finzione dal quale nessuno esce incolume, compreso il sistema produttivo che permise ai Bluth di tornare sui nostri schermi: "Mio padre ha disdetto l'abbonamento a Netflix quando hanno aumentato il prezzo di due dollari", dice il nuovo avvocato di famiglia, ricordandoci fino a che punto questa brutta gente sa essere cattiva.

Arresto definitivo?

(Attenzione, spoiler!)

"Non possono arrestare un marito e una moglie per lo stesso crimine." "Papà, credo che non sia vero." "Ho degli avvocati di merda." Questo scambio di battute tra George Sr. e Michael, al termine del primissimo episodio della serie, viene evocato nel gran finale della quinta stagione, una puntata extralarge dove a un certo punto Lucille dice che due fratelli non possono essere accusati dello stesso reato. Michael, parzialmente abbattuto, commenta che forse i consigli di Barry, non più avvocato di famiglia, erano migliori. Il parallelismo suggerisce che Hurwitz abbia concepito questa seconda stagione del revival come possibile addio definitivo ai Bluth. Un addio dove la famiglia, alle prese con la costruzione e vendita di un muro sul confine tra USA e Messico, sostiene che Trump non vincerà le presidenziali dell'anno successivo, Lindsay torna in scena dopo aver scoperto di essere la sorellastra di Lucille anziché sua figlia e Buster si prepara a tornare in galera perché, dopo un processo che trasudava mancanza di prove concrete, viene fuori che è stato comunque lui a uccidere l'altra Lucille. E in mezzo a tutto questo Michael e suo figlio si allontanano, in macchina, verso un nuovo orizzonte, ma sarà veramente così? "Torna sempre", dicono tutti i parenti, e per quanto questo sia il perfetto, beffardo happy end per tutti i personaggi, l'impressione che non sia ancora finita è forte. A seconda di come si evolverà la situazione politica statunitense nel 2020, avremo bisogno di quella famiglia orrenda per ridere come si deve, perché laddove altre realtà seriali come Veep o Saturday Night Live si trovano in difficoltà a satirizzare un mondo già di suo caricaturale, Hurwitz e i suoi collaboratori hanno un vantaggio notevole: il loro è un mondo folle e grottesco sin dal principio, e i personaggi funzionano proprio perché amiamo odiarli.

Conclusioni

Arrivati alla conclusione della nostra recensione di Arrested Development per quanto riguarda la quinta stagione, con quasi un anno di pausa tra i due blocchi, confermiamo l'impressione iniziale di una rinascita dello show, tornato ai fasti della prima incarnazione, quella del 2003-2006, dopo la parentesi un po' bislacca del 2013. La transizione dall'era Bush a quella di Trump ha dato ai personaggi e alle sceneggiature una carica graffiante aggiuntiva, regalandoci sedici episodi di irresistibile cattiveria.

Movieplayer.it
4.5/5

Perché ci piace

  • La quinta stagione è un ritorno alle origini, con la struttura corale che mancava nel ciclo precedente.
  • L'alchimia tra gli attori è rimasta intatta.
  • I rimandi all'attualità sono deliziosamente crudeli.

Cosa non va

  • La sottotrama dedicata a Ron Howard è priva di mordente.
  • L'assenza di Lindsay in molti episodi si fa sentire.

Movieplayer.it

4.5/5