"Tutto è partito dal desiderio di realizzare qualcosa con Ronan. Abbiamo creato insieme fin da quando era piccolo. L'ho seguito nel suo percorso da pittore, ma ho sempre saputo che sarebbe passato dietro la macchina da presa. Io invece mi ero allontanato da questo mondo. Poi però abbiamo cominciato a pensare a qualcosa di intimo, contenuto, piccolo. La storia di due fratelli è qualcosa che interessava a entrambi. E anche l'idea di addentrarci in territori sconosciuti". Ci voleva il figlio Ronan per convincere Daniel Day-Lewis a tornare su un set.

Il premio Oscar si è infatti ritirato dalla recitazione nel 2017, dopo Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson. Otto anni dopo lo ritroviamo insieme a Sean Bean in Anemone, esodio da regista di Ronan Day-Lewis, nelle sale italiane dal 6 novembre. Per supportare il lavoro del figlio l'attore ha partecipato a diversi festival: New York Film Festival, BFI London Film Festival e ora è toccato anche a Roma, dove il film è stato presentato in anteprima italiana ad Alice nella città 2025, di cui sono stati protagonisti di una masterclass.
È la storia di due fratelli, Ray (Day-Lewis) e Jem Stoker (Bean): il primo, ex veterano di guerra, ha scelto di vivere nei boschi, in totale isolamento. L'altro cerca quindi di convincerlo a tornare a casa, per riunirsi con la famiglia. Nel cast anche Samantha Morton. Padre e figlio hanno scritto insieme la sceneggiatura: accolti da una standing ovation, hanno parlato di questa avventura in un incontro speciale padre-figlio tenutosi all'Auditorium Conciliazione.
Anemone: il significato del titolo
Sono partiti dal principio: perché il titolo Anemone? Ronan l'ha chiarito: "Viene dalla canzone di The Brian Jonestown Massacre. Quella parola mi sembrava perfetta: racchiude una morbidezza unita a un aspetto quasi predatorio. L'etimologia è legata al vento e visto quanto è importante questo elemento nel film ho pensato che fosse il titolo giusto. Il mio percorso da pittore mi spinge a descrivere le immagini attraverso i sensi e gli elementi meteorologi più che con dialoghi o parole".
Il tre volte premio Oscar è molto orgoglioso del percorso del figlio: "Come regista non somiglia a nessuno se non a se stesso. Essendo un pittore, una delle doti di Ronan è la sua immaginazione singolare, al servizio di questo impulso profondo che lo spinge a creare immagini. Quando sei regista però devi essere anche in grado di collaborare con tante persone: questa cosa per lui era assolutamente nuova, perché come pittore lavori da solo. Sei tu con la tua tela, i pennelli, i colori, che lotti con te stesso. Decidi e affronti delle difficoltà in solitudine. E stabilisci tu quando il lavoro è finito. Invece stavolta ha dovuto lavorare in gruppo. Un gruppo tra l'altro formato da persone di grandissimo talento".
Padre e figlio, affascinati dai fratelli
Il nucleo di Anemone è il rapporto tra fratelli. Tema che interessava a entrambi, come detto da Ronan incontrando il pubblico: "All'inizio mi attirava l'idea di realizzare qualcosa che fosse legato alla fratellanza. Avendo anche io due fratelli mi interessava molto questo archetipo. Ma poi, mano a mano che andavo avanti, quando tutto è diventato più chiaro, anche l'elemento metereologico è diventato fondamentale. E a quel punto la mia esperienza di pittore si è fusa con la storia. È stato facile dirigere mio padre, è stato tutto molto naturale: grazie a questo film abbiamo scoperto tante cose che non sapevamo l'uno dell'altro".

Questa storia familiare si intreccia però con temi più grandi, come quello della guerra, che non potrebbe essere più attuale. Il regista ne è consapevole: "Il film tocca degli aspetti profondamente reali, e orrendi, dell'umanità. Cose che esistono nel nostro mondo. Stiamo vivendo un periodo veramente tremendo. Questi temi si sono sviluppati nel film in maniera inconscia, almeno all'inizio, partendo dai personaggi, mano a mano che esploravamo il loro passato. Il punto di vista da cui guardiamo lo spargimento di sangue è quello della natura. È come se a osservare gli eventi fossero gli alberi e il cielo".
Inevitabile pensare al conflitto israelo-palestinese, su cui Daniel Day-Lewis si è limitato a dire: "Non si può parlare di Gaza in modo sbrigativo. Questo argomento richiederebbe una discussione molto lunga e approfondita. Posso soltanto dire che Israeliani e Palestinesi sono due popoli catastroficamente rappresentati dai loro governi".
Il lavoro con Sean Bean
L'altro protagonista, come detto, è Sean Bean. Per Daniel Day-Lewis il lavoro con lui è stato fondamentale: "Con Sean abbiamo passato del tempo insieme in Irlanda, trovando una complicità. Ci siamo capiti. Ronan è cresciuto con dei fratelli, quindi conosce bene quell'esperienza, io invece no. Però, attraverso l'amicizia, ho cercato e trovato questo sentimento di fratellanza. Con Sean ci siamo fidati l'uno dell'altro e ci siamo buttati un po' alla cieca".

Il regista conferma: "Il tempo che hanno trascorso insieme prima di andare sul set per girare è stato estremamente utile, perché ha consentito a entrambi di sviluppare la familiarità necessaria. La mancanza di prove ha consentito, sul set, di avere quell'energia vulcanica che si vede. In diverse scene non sapevano cosa sarebbe venuto fuori e come. In particolare nella scena del prete. Le reazioni che si vedono e la loro performance sono estremamente genuine. È come se si fosse scatenata una reazione chimica, che o c'è, o non c'è. Per fortuna in questo caso è successo e ha reso tutto estremamente reale e autentico".
Daniel Day-Lewis tornerà a recitare?
La domanda ora è: adesso che Daniel Day-Lewis è tornato a recitare dopo una lunga pausa di otto anni, possiamo sperare anche in altri film? Alcune dichiarazioni fatte a Roma potrebbero far ben sperare: "Avrei dovuto tenere la bocca chiusa qualche anno fa. All'epoca mi sembrava fosse una scelta naturale prendermi una pausa. Il tempo lontano dal lavoro mi avrebbe nutrito. Il lavoro per me è sempre stato nutrimento, ma non mi piace lo stile di vita che lo accompagna: non amo gli aspetti pubblici di questo mestiere. Quando fai questo lavoro tutti prestano attenzione a come ti comporti. È qualcosa che non ho mai imparato a gestire. Per quanto riguarda la regia invece non c'è pericolo: mi è capitato di pensarci, ma non penso di essere in grado. Non ho la sensibilità e la mentalità che servono a un regista per gestire molteplici compiti".