American Gods, A Murder of Gods: la mano armata degli Stati Uniti d’America

Meno criptico e più asciutto del solito, il sesto episodio della serie riscopre il suo animo nomade per introdurre un nuovo e affascinante personaggio. Un racconto on the road che questa volta mette nel mirino un atavico vizio del popolo statunitense.

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Se siete ancora a bordo, significa che state apprezzando il ritmo del viaggio. E quello di American Gods è un lungo e polveroso viaggio, disperso tra strade americane semideserte e dentro l'animo, lo stomaco e il cuore dei suoi personaggi sballottati di qua e di là. Proprio come noi spettatori. Un viaggio nello spazio, tra la vita e la morte, ma anche nel tempo. Così, dopo la puntata pilota e lo scorso episodio, la serie si apre di nuovo con un prologo solo in apparenza staccato dal resto del racconto, un prologo che ancora una volta racconta di un popolo in cammino. Dopo le vicende di una popolazione vichinga e una primitiva, questa volta la digressione iniziale non balza tanto indietro perché si sofferma su migrazioni contemporanee, ovvero sul confine valicato da un gruppo di ispanici in viaggio verso gli Stati Uniti. E mai come in questo caso l'incipit vale come indizio di quel che vedremo poco più avanti, con un intero popolo prima salvato dall'intervento di un moderno Gesù e poi sterminato senza pietà da una schiera di "cowboy" americani che sparano raffiche di pallottole (con tanto di brand inciso sopra) sui poco graditi ospiti.

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A morire non è solo l'uomo, ma anche il tramite divino che ha tentato di salvarli con il suo innato, solito altruismo. La storia, insomma, si ripete. American Gods sembra suggerirci che in questa terra piena di promesse, l'unica cosa buona da mantenere è una bella arma puntata contro il nemico o il presunto tale. Una tesi radicale, ben radicata nell'immaginario collettivo, sostenuta da un episodio meno cervellotico e dispersivo del solito, con uno spirito più pragmatico ed incisivo, che prepara molto bene il terreno per i due episodi finali. A terra vediamo solo sangue e non pochi punti interrogativi ben piantati nel suolo americano.

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La strada verso l'alto

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Il motel, la stazioni di servizio, i bar. E tanto, tanto asfalto. Sono luoghi tipici di ogni viaggio on the road, coordinate note di ogni storia che si dipana lungo le arterie statunitensi. In A Murder of Gods la strada si biforca per seguire due viaggi lontani, uniti soltanto dal destino dei coniugi Moon, marito e moglie che si erano persi in vita e sembrano volersi ritrovare dopo la morte. Da una parte troviamo l'eternamente scettico Shadow (e chi non lo sarebbe?), fantoccio nelle mani sapienti (lo saranno davvero?) dell'eternamente enigmatico Mr. Wednesday. Tra i due si è ormai creato un rapporto simbiotico, che nonostante i continui battibecchi si alimenta di una reciproca dipendenza. Se Shadow grazie al ritorno in vita di sua moglie inizia a credere nell'impossibile, Mr. Wednesday rincara la dose dimostrando le sue doti straordinarie persino dentro il corpo del suo braccio destro. Certo, resta da capire davvero cosa abbia spinto l'antico dio verso l'ex galeotto, ma l'alchimia tra le sfumature nebbiose di Ian McShane e la prestanza fisica di Ricky Whittle funzione eccome. Mentre la strana coppia procede nella sua faticosa opera di arruolamento, un nuovo e ancora più strambo trio si viene a formare: Laura, Salim e Mad Sweeney.

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I primi due si riscoprono diversi eppure affini, in quanto esseri umani venuti a stretto contatto con entità straordinarie. Se Laura è stata rigettata dall'aldilà di Anubi, Salim ha persino fatto l'amore con il genio Jinn. Per questo il loro viaggio verso la resurrezione promessa alla signora Moon è occasione di confronto tra due visioni opposte del credere. Il tassista mussulmano intende la fede come atto di riconoscenza verso qualcuno di vicino e conoscibile, mentre Laura, atea delusa e miscredente, ricorda un'educazione religiosa che parla di un dio lontano, a cui richiedere favori dal basso verso l'alto. Salim crede nel suo dio, mentre Laura è devota soltanto alla vita. Quella vita sempre disprezzata e ora tanto preziosa. Perché se è vero che la moglie di Shadow crede niente, sappiamo che i suoi occhi vedono la luce nel marito. Qualcosa, forse, si è riacceso persino in questa rediviva disillusa, impregnata di odore di morte e tabacco.

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Arma il prossimo tuo

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American Gods ama soffermarsi sui dettagli, adora mettere in scena gli ambienti vasti e sconfinati di questo e di quell'altro mondo senza mai perdere di vista le cose più piccole. Succede anche in questo episodio dove notiamo delle preghiere incise sui fucili e persino le pallottole si riconoscono in un brand: Vulcan. Ed è dentro il cuore rovente dell'odio americano che A Murder of Gods si tuffa con violenta decisione. È un magma tumultuoso che invade le strade di una piccola cittadina elevata a simbolo di una nazione intera. Senza mezze misure, American Gods dipinge l'americano come un cieco devoto delle armi, un fanatico che magari di notte prega pure, ma non senza aver messo la sua pistola sotto al cuscino.

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All'interno di un paesotto surreale, abitato da una mandria di tenaci guerrafondai, emerge quindi la Vulcan, fabbrica di bussolotti e morte forgiata da Vulcano, nuova divinità a cui Mr. Wednesday tende la mano per stringere un'alleanza. Attraverso questo nuovo, interessante personaggio, ennesimo ago della bilancia nella lotta contro i Nuovi Dei, American Gods mostra la sua anima più fantasy, perché ci parla di spade da forgiare, di armi decisive in questa lotta che sembra ormai bussare alle nostre porte. La fine è vicina, per quanto di fine sia difficile parlare (ci aspettiamo un epilogo più che aperto). Mancano due episodi alla conclusione di questa prima stagione e, pur senza conoscere le reali motivazioni dei due schieramenti, molti di noi tifano già per un signore rugoso dall'occhio vitreo e per un omaccione imponente quanto impotente. E per la sua inafferrabile moglie innamorata. Perché? Chiamiamolo pure atto di fede.

Movieplayer.it

4.0/5