I'm the person least likely to be forgotten... I'm Andrew Cunanan.
"Après moi, le déluge": dopo di me, il diluvio. La celebre frase attribuita dalla tradizione a Re Luigi XV è anche il motto stampato, nell'albo del liceo, sotto la foto di Andrew Cunanan. Il ritratto del ragazzo, con la camicia aperta sul torace e quell'espressione vivace e sorridente, sarebbe diventata molti anni più tardi una delle immagini più diffuse in tutto il mondo: il volto a cui ricollegare il giovane uomo che, il 15 luglio 1997, sparò a sangue freddo allo stilista Gianni Versace davanti alla sua villa di Miami Beach.
E a dispetto del proprio titolo, L'assassinio di Gianni Versace, la seconda stagione di American Crime Story ci ha raccontato anche e soprattutto questo, il 'diluvio': la devastazione e la morte che, fra l'aprile e il luglio del 1997, Andrew Cunanan avrebbe lasciato dietro di sé, fra Minneapolis e Miami. Una scia di sangue che la serie scritta da Tom Rob Smith e prodotta da Ryan Murphy ha ricostruito passo dopo passo, in un originale percorso a ritroso la cui traiettoria è mutata soltanto nel finale: l'unico, fra i nove episodi della serie, in cui l'analessi abbia ceduto il posto a una narrazione lineare.
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Caccia all'uomo
Solo, diretto da Daniel Minahan (già alla regia di due fra gli episodi più spaventosi e raggelanti della serie, La casa sul lago e Coming Out), chiude idealmente il cerchio ripartendo proprio dal principio: da quell'incipit che nella prima puntata, L'uomo da copertina, ci mostrava l'uccisione di Gianni Versace, interpretato da Edgar Ramírez. Di nuovo quel colpo di pistola sparato a bruciapelo, preludio all'ultimo atto della tormentata parabola del suo assassino: Andrew Cunanan, ventisettenne californiano di origini filippine, che in American Crime Story ha il viso e la voce di Darren Criss (una scelta di casting che, a posteriori, si è rivelata quanto mai indovinata). Solo concede spazio anche ad alcuni fra i personaggi introdotti in precedenza, in particolare a Marilyn Miglin (Judith Light), vedova di una delle vittime di Cunanan, alle indagini condotte dall'FBI e di nuovo alla Donatella Versace di Penélope Cruz, ma il fulcro dell'episodio è ancora lui: lo psicopatico più ricercato d'America.
Dall'entusiasmo per l'improvvisa ondata di notorietà dopo l'omicidio di Versace alla disperata consapevolezza dell'impossibilità di fuggire da una Miami assediata dalle forze dell'ordine, la vicenda di Cunanan giunge così alla sua funesta conclusione. A una settimana di distanza dalla morte dello stilista italiano, la serie rievoca le ultime ore di vita del serial killer, ormai braccato e senza possibilità di scampo: il suo nascondiglio finale, una casa galleggiante in cui Cunanan si sarebbe rifugiato il 22 luglio; l'accerchiamento da parte della polizia, dell'FBI e dei media; il proiettile rivolto contro se stesso, poco prima dell'irruzione degli agenti e di un'inevitabile cattura. La cronaca di una serratissima caccia all'uomo, interrotta da un'unica parentesi: il ricordo (o il sogno?) di una conversazione faccia a faccia con Versace (nella realtà, non ci sono prove certe che i due si fossero mai conosciuti in precedenza). Ma prima dei titoli di coda, c'è ancora qualche minuto da dedicare ai parenti di Versace: le lacrime di rimorso di Donatella e il tentato suicidio del compagno Antonio D'Amico (Ricky Martin), altra concessione alle esigenze della finzione, per un epilogo comunque meno incisivo rispetto a quanto visto in precedenza.
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"Andrew is not hiding... he's trying to be seen"
Perché la vera, oscura forza de L'assassinio di Gianni Versace, come già rilevato, non risiede tanto nella storia del personaggio del titolo, quanto in quella dell'uomo che sta dietro la parola "assassinio". E nell'arco di nove episodi, alcuni dei quali da annoverare fra le ore di televisione più cupe e disturbanti che sia possibile immaginare, Tom Rob Smith ci ha condotto in una progressiva immersione nella follia più selvaggia: un passo alla volta, presentandoci prima il 'mostro' all'apice della sua furia distruttrice e poi, in una costruzione alla Memento che ha invertito l'ordine cronologico, illustrando le fasi della trasformazione di quel ragazzo loquace, carismatico e dai modi raffinati in un killer imprevedibile e spietato. E dipingendo, sullo sfondo, un affresco del "sogno americano" rovesciato in incubo: l'idolo del self-made man che lascia emergere il suo lato più fragile e meschino (la figura del padre di Cunanan, truffatore e latitante) e l'ombra della mediocrità e del fallimento, destinata a segnare l'intera esistenza del protagonista come il più terribile degli spauracchi.
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"Voleva che sapeste del suo dolore, voleva essere ascoltato, voleva farvi capire cosa significa nascere in una menzogna", osserva il suo ex coinquilino, interrogato dalle autorità; "Andrew non si sta nascondendo... sta cercando di farsi vedere". Il peso insostenibile del mito del successo nella "terra delle opportunità" è stato espresso esemplarmente nel penultimo episodio della serie, Ricordi d'infanzia (in originale il titolo è il ben più calzante Creator/Destroyer), incentrato sul passato familiare di Cunanan e sulla genesi dei suoi demoni; mentre, da un punto di vista più ampio, American Crime Story ha sottolineato a varie riprese le innumerevoli forme di discriminazione e di omofobia radicate nella società americana di fine millennio, pur senza mai trasformare l'omosessualità di Cunanan in una facile 'attenuante', né mettendola in relazione con l'orrore delle sue azioni.
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L'operazione elaborata da Smith e Murphy, insomma, è ben più complessa: non fornisce semplici risposte (neppure nell'implicita, agghiacciante allusione ad atti di pedofilia consumati dal padre su un giovanissimo Andrew) né pretende di risolvere in una semplice equazione il mistero della malvagità umana. Più coraggiosamente, American Crime Story ci invita a rivolgerci in direzione dell'abisso e, seppure per lo spazio di una manciata di ore, a guardare il mondo attraverso gli occhi di un serial killer. E al termine di questo lungo viaggio verso la notte, è davvero difficile pensare a qualcosa di più inquietante.
Movieplayer.it
3.5/5