Le ultime ore per l'America sono state quanto di più drammatico si sia visto da molti decenni a questa parte. Violenze, scontri, l'occupazione del Congresso, un clima di imprevedibile tensione, l'atteggiamento di Donald Trump, tutto ciò resterà nei libri di storia, la prova finale di un paese che non era così diviso e ferocemente contrapposto da moltissimo tempo. Il cinema, in questi anni, non ha solo parlato della crescente conflittualità interna degli Stati Uniti, ma si è spinto oltre, sovente ha addirittura mostrato in anticipo gli eventi di questi mesi drammatici, l'anarchia e l'attacco alle istituzioni, la crescente distanza tra le masse ed i suoi rappresentanti. Perché, come spesso accade, l'arte ed i suoi protagonisti hanno nella sensibilità e nella fantasia le due armi migliori con cui non solo interpretare il nostro tempo, ma anche prevedere il futuro.
Il Bane di Christopher Nolan
Già sul finire degli anni 90, il deteriorarsi della politica e del clima interno, era stato affrontato da piccole perle cinematografiche come Bulworth - Il senatore di Warren Beatty e La seconda guerra civile americana di Joe Dante. Ma se vogliamo guardare al primo importante campanello d'allarme, connesso a ciò che è successo in questi ultimi mesi, non si può non cominciare da Il cavaliere oscuro - Il ritorno di Christopher Nolan, terzo capitolo della saga che il regista ha dedicato a Batman. In quel 2012, vedevamo una Gotham in preda ad una profondissima crisi economica e di identità, con le masse relegate agli angoli della società, sempre più disperate, infuriate e imprevedibili. La concezione dei palazzi della politica come strumento nelle mani dei poteri forti, delle classi dominanti, la necessità di un cambiamento radicale, rendeva oltremodo facile la strada al villain Bane, abilissimo manipolatore, in grado di utilizzare la rabbia degli ultimi a proprio vantaggio. In molti, durante il primo discorso da Presidente di Trump, sorrisero nel notare che alcune frasi erano sostanzialmente identiche a quelle utilizzate da Bane, con quel "restituire i poteri al popolo". Un popolo la cui furia, il cui distacco totale dalle élite intellettuali che l'hanno guidato e rappresentato nel XX secolo, emergeva in modo preponderante in un altro cinecomic: Joker.
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L'anarchia del Joker di Todd Phillips
Todd Phillips è stato incredibilmente profetico. Solo l'anno scorso ha stregato il mondo con il suo cinecomic autoriale, in cui affrontava la genesi del famoso clown di Gotham, descritto come un involontario Deus ex Machina del crollo totale di Gotham, quella Gotham in cui Thomas Wayne appariva come un ricco arrogante e classista, in cui non vi era pietà, giustizia o empatia. Era un'America immersa in una crisi molto attuale, per quanto storicamente collocata in un'altra epoca di grande incertezza: gli anni 80. Joker era un film pessimista, feroce nei confronti dei mass media, della cultura yuppie e del successo, perfetto nel ricordarci che quando una civiltà è in agonia, basta un nonnulla per farla crollare. Joaquin Phoenix, con il suo Arthur Fleck, fu totem del moderno rifiuto dell'identità e dei ruoli imposti dalla società. Come lui, in questi mesi di proteste, molti hanno indossato una maschera e trasfigurano il proprio aspetto, ed anche ieri, la maschera del suo Joker era sul volto di molti tra coloro che hanno assalito il Campidoglio. La violenza, l'anarchia, il caos, per Phillips non nascono per caso, ma sono l'inevitabile esito di una società in cui la diseguaglianza sociale, la mancanza di diritti ed una politica sempre più elitaria, diventano la prassi. E la rivolta non è qualcosa con cui puoi ragionare o venire a patti, travolge tutto e tutti. Le scene di questi mesi e di ieri a Washington, cos'hanno di differente dagli ultimi, possenti istanti cinematografici di Joker?
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L'America violenta di Spike Lee e Jeremy Saulnier
La contrapposizione politica di questo periodo storico, le proteste pro (o a favore) della presidenza di Trump, hanno fatto riemergere odi e divisioni, che credevamo ormai un lontano ricordo per gli Stati Uniti. Spike Lee, nel suo BlacKkKlansman di due anni fa, aveva denunciato la rinascita dei movimenti suprematisti bianchi, accusato Trump di averli nutriti ed aiutati con la sua politica, mostrando nel finale i disordini dell'Agosto 2017 a Charlottesville. Quell'America bianca e razzista, non è mai stata battuta sul serio, sosteneva Lee, ad ancora oggi le Forze dell'Ordine sono attraversate da una profonda ed immotivata violenza verso le minoranze, quella afroamericana in particolare. Alle critiche che Lee subì da parte del fronte conservatore per Blackkklansman, la storia ha tristemente risposto con la morte di George Floyd, il ferimento di Jacob Blake e ciò che ne è seguito.
Anche il cinema horror ha dato un importante contributo, visto che già due anni prima dell'insediamento di Trump, nel 2015, era uscito Green Room di Jeremy Saulnier. In questo horror nell'America profonda del Nord-ovest, vi era una perfetta metafora dell'amoralità e della violenza serpeggiante nel "Magnifico Paese". In un piccolo bar, i membri di una band punk erano costretti a lottare per sfuggire alla morte per mano di un gruppo di skinheads, e a diventare come i loro assalitori per sopravvivere. Nessuna possibilità né volontà di dialogo tra le due parti, nessuna fiducia e comunicazione, nessuna empatia in Green Room. Solo odio, sangue e la violenza, quella violenza che l'America non riesce ad eliminare dal suo corpo, e le forze di polizia erano descritte nel film così come le abbiamo viste ieri sera tutti quanti: semplicemente assenti, incapaci di limitare il caos, una sirena in lontananza.
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The Post ed una stampa sempre più inadeguata
L'informazione, nella crisi della democrazia americana a cui stiamo assistendo, ha una grande responsabilità. Non ha più esercitato con la stessa efficacia il suo ruolo nella nuova dimensione tecnologica e semiotica del XXI secolo. A ricordare l'importanza di avere una stampa libera ed efficiente, ci ha pensato Steven Spielberg con il suo The Post, uscito in concomitanza con l'elezione di Donald Trump. Per quanto ambientato ai tempi dello scandalo inerente i Pentagon Papers, con il Presidente Nixon che furiosamente cercava di nascondere la verità sul conflitto in Vietnam al popolo americano, The Post era anche un monito ai media, descritti come inconcludenti e pavidi. I giornalisti si erano dimenticati della giusta distanza, della loro missione di cani da guardia della democrazia, di quanto importante fosse la ricerca della verità. L'altro fronte, il Governo, era concepito come un'entità indefinita, un regno della paura, pronto a tutto pur di sopravvivere, di accumulare potere e soprattutto rimanere impunito. La crisi del giornalismo americano, in atto da almeno una decina d'anni, è uno degli elementi che in queste ore andrebbe analizzato, seguendo l'esempio di Spielberg.
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The Purge: una profezia che si è avverata
Gli scontri, le violenze, di questi ultimi mesi, hanno però avuto la migliore anticipazione ed analisi nella saga di The Purge (La notte del giudizio). Creata da James De Monaco, è un'ucronia distopica di grande irriverenza, in cui il paese, a causa di povertà, disperazione e criminalità, aveva messo ai vertici un'organizzazione dittatoriale nota come "I Nuovi Padri Fondatori". Essi avevano stabilito che una volta l'anno fosse permesso ai cittadini di dare libero sfogo alla loro violenza impunemente. La saga, cominciata nel 2013 e composta finora da quattro film (il quinto uscirà il prossimo luglio) più una serie tv, ha parlato di quel lato violento e sempre vivo nella società americana, che in questi anni è stato ancora più sdoganato, avvicinando gli Stati Uniti alla guerra civile.
Originale e profetica, la saga di The Purge ci ha mostrato con anni di anticipo la rinascita dello scontro razziale, in un paese che dimentica gli ultimi, i poveri, definiti dal Sistema come una "zavorra" dannosa per l'economia. La saga ha concepito una leadership che usa la violenza per tenere sotto controllo le masse, eliminare gli oppositori, si affida ai peggiori istinti del popolo per proteggersi. Intanto, parallelamente, fioriscono le formazioni paramilitari dei due schieramenti, spuntano strani costumi, maschere e travestimenti, non dissimili da quelli visti addosso agli Antifa o ai Proud Boys. The Purge ha previsto il nuovo Far West, la violenza tra bianchi e neri, tra Nord e Sud, la legge del taglione, il branco e la tribù che sostituiscono lo Stato, le armi che si riappropriano del "sogno americano". Quel sogno che si è avverato, come diceva il Comico di Watchmen, e che anche ieri ha mostrato ieri il suo terribile volto, fatto di individualismo, prevaricazione e azzeramento del concetto di dialogo.
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