Amen, la recensione: oltre i limiti della religione nell'ottimo esordio di Andrea Baroni

Di luce, di Fede, di peccato, di perdono: Amen di Andrea Baroni rivede il retaggio religioso in un film che trova la sua divinità nella libertà emotiva delle tre sorelle protagoniste, interpretate da Grace Ambrose, Francesca Carrarin e Valentina Filippeschi. Al cinema dal 27 giugno.

Grace Ambrose in Amen

Lo spiega lo stesso Andrea Baroni, alla sua prima prova in un lungometraggio: "Amen parte dal concetto di limite". Un paradigma chiaro, che si scontra audacemente con il concetto di cinema, da sempre arte che i limiti, in qualche modo, vuole superarli. In questo momento, intanto che scriviamo la recensione del film, il cinema italiano sembra sussultare, spinto da nuove voci e nuovi autori, che quei limiti si prefiggono di abbatterli, partendo da un cinema che ha a che fare con i ricordi, la memoria, la miglior artigianalità possibile, inseguendo un archetipo definito (e con le dovute precauzioni, Baroni si rifà a Pietro Marcello e Alice Rohrwacher) che punta in alto, quasi al cielo, quasi all'etereo.

Amen Grace Ambrose Francesca Carrain
Grace Ambrose e Francesca Carrarin in Amen, esordio di Andrea Baroni

Una sceneggiatura scritta di getto, sempre secondo Baroni, romano classe 1983, che parte dai suoi ricordi e si affida alla memoria che riflette un luogo che diventerà il simbolo di Amen: un casolare, di quelli graffiati e scrostati, microcosmo quasi pasoliniano nel decadente accavallamento di un'infanzia che diventa adolescenza. Un accavallamento bloccato dai dogmi di una religione che rimbomba fin dal titolo, e "declinato in base alla costruzione dei personaggi". Dall'altra parte, in Amen si percepisce la lucidità di un regista che non ha intenzione di smaniare troppo, accettando e cavalcando l'ambizione di un film ondivago, ma essenziale nello scardinare l'interesse verso il suo possibile futuro da regista.

Amen, di perdono e di peccato: la trama

Il limite in Amen sarà allora la religione stessa, chiusa e ristretta in un casolare fuori dal tempo. Al centro una famiglia estremamente religiosa che segue a menadito le parole del Vecchio Testamento. Si vive di nulla, tra l'orto e il mercato. Nessuno svago, nessun sogno, e ancora una volta il limite invalicabile di una casa sperduta. E guai a contraddire papà Armando (Luigi Di Fiore), che tiene le tre figlie sotto rigide regole. C'è la piccola Miriam (Valentina Filippeschi), poi Ester (Francesca Carrarin), che vorrebbe andare oltre la vallata, e poi la maggiore, Sara (Grace Ambrose), che per Armando sembra la figlia ideale.

Amen Grace Ambroce 1
Le tre sorelle di Amen: Grace Ambrose, Francesca Carrarin e Valentina Filippeschi

Le regole religiose le indice nonna Paolina (Paola Sambo), che con preghiere e punizioni vede e prevede la Salvezza. Guai a saltare il momento della confessione. Ma il clima austero e fermo cambia quando arriva Primo (Simone Guarany), nipote di Paolina. Per il pater familias il ragazzo è un pericolo, va allontanato prima che incuriosisca troppo le tre figlie. E infatti, le tre sorelle, grazie a Primo, inizieranno a scoprire una pulsione in grado di spostare gli equilibri.

Grace Ambrose, i viaggi nel tempo e la sensibilità di un'attrice

Un esordio che convince, tra ardore e ossessione

Amen Grace Ambrose
La divinità di Amen

Ribadiamo ciò che poteva trasparire già dall'introduzione della nostra opinione: Amen, girato low budget, è una necessità che diventa splendida virtù, tramutandosi in un cinema uniforme e sicuro, meticoloso nella sguardo e negli umori che aprono ad una messa in scena stratificata, in cui la natura umana viene fuori scena dopo scena, in un turbine di scoperte e di abbagli. Di più, mischiando la polvere con il peccato, la vitalità con la stortura, l'ardore con la luce (e che bella la fotografia di Niccolò Palomba, che ricorda proprio certe atmosfere legate alle case dei nostri nonni). La stessa giovane e pruriginosa vitalità delle tre sorelle, piegate in ginocchio ad espiare i peccati commessi e non commessi, enfatizzando - in tono narrativo - il senso di colpa indotto dai limiti che sembrano spingere la narrazione cercata da Andrea Baroni.

Gli stessi confini che poi diventeranno lotta ideologica e generazionale all'interno del nucleo famigliare, in cui l'estraneo (Primo) andrà a simboleggiare l'interruzione di una catena quotidiana basata sulla Parola del Signore, e quindi mistificata rispetto alla verità soggiogata dalla Fede (che il regista rispetta, e anzi traduce negli sguardi accesi delle tre sorelle). Per questo, il senso di Amen riflette al meglio il volere della sceneggiatura (pur incastrandosi in determinati passi, indeciso se voler essere troppo o volutamente troppo poco), rivendendo il concetto di coming-of-age all'interno di una geografia umana insormontabile, squilibrata e ossessiva. Nel farlo, il metro estetico enfatizza gli occhi, le mani, i corpi e i dettagli (quindi l'istinto e l'emozione), in un crescendo di liberazione emotiva e sensoriale, appassionata nell'adolescenza che prende definitivamente il controllo, infiammando il castigo divino di cui non resterà che il suo indolenzito e gracile retaggio. Notevole.

Conclusioni

Sembrerà banale, ma quello di Andrea Baroni è il classico esordio "interessantissimo". Lo è per lo spunto estetico, per il piglio registico, per la scelta di non risultare necessariamente facile, preferendo un'accessibilità intelligente che non tradisce il proprio credo autoriale. Amen, che rivede i retaggi religiosi attraverso lo sguardo di un romanzo di formazione, si lega tanto alle sue tre brave e giovani protagoniste quanto alla location (chiusa, e per questo simbolica), unendo il tutto tramite l'utilizzo della luce, non mero vezzo estetico ma vero plus narrativo.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
3.5/5

Perché ci piace

  • La bravura delle tre protagoniste.
  • La location.
  • La luce, protagonista e non solo vezzo.
  • Lo sguardo sulla religione.

Cosa non va

  • Alcuni passaggi, indecisi nella mano.