Recensione Quello che cerchi (2001)

Il film rappresenta una corsa alla ricerca della propria identità; è infatti questa la meta che i protagonisti della pellicola inseguono affannosamente: identità sessuale ed identità di ruolo all'interno dei legami familiari.

Alla ricerca dell'identità

Marco Simon Puccioni, giovane regista italiano, con Quello che cerchi esordisce mondo dei lungometraggi. Il suo film rappresenta una corsa alla ricerca della propria identità; è infatti questa la meta che i protagonisti della pellicola inseguono affannosamente: identità sessuale ed identità di ruolo all'interno dei legami familiari.

Davide (Antal Nagy), figlio lasciato a se stesso, cerca la sua vera madre dopo aver perso nel padre la figura maschile di riferimento; Impero (Marcello Mazzarella), investigatore privato quasi per caso, è alla ricerca di un'identità di padre solo sospettata e mai rivelata, e contemporaneamente fugge dalla realtà sfocata in cui vive. Per entrambi la corsa comincia quando Rosa (Stefania Orsola Garello), madre di Davide solo di fatto, affida ad Impero il compito di seguire e proteggere il ragazzo.

Marco Simon Puccioni utilizza la macchina da presa come il bisturi di un chirurgo: si insinua tra le pieghe dell'animo umano per esplorarne le varie e inconsuete forme d'amore: Rosa, per esempio, è innamorata di un uomo diventato donna e si sente madre di un figlio non suo; Impero, d'altro canto, spera di poter rivedere la donna che ha amato e di scoprire che la loro unione ha dato vita ad una creatura, segno tangibile di quell'amore. Attraverso l'incarico affidatogli, infatti, il protagonista corre all'indietro cercando di ripercorrere le tappe di un passato ormai dissolto, ma indispensabile per capire il presente e guardare con più ottimismo al futuro. Ecco quindi che la ricerca, quasi disperata, della propria individualità e delle proprie radici diventa uno degli elementi fondanti del film.

Dal punto di vista prettamente tecnico, Puccioni utilizza il digitale come scelta stilistica e perché obbligato dal budget ridotto. La fotografia è sporca, crepuscolare ed alterata ed il montaggio spesso frenetico. La costruzione del film, ciclica, è stata molto apprezzata dagli addetti ai lavori ed effettivamente è uno degli aspetti più interessanti dell'opera del regista. Bravi gli attori, in particolare Antal Nagy - alla sua prima esperienza cinematografica - perfetto nel ruolo del giovane ribelle e idealista. Anche Marcello Mazzarella è a suo agio nel ruolo di Impero, personaggio dal nome altisonante ma fondamentalmente fragile e sempre un po' stralunato.

In conclusione, si è assistito ad un viaggio all'interno dell'animo umano che il regista compie sfruttando appieno la propria esperienza documentaristica pur con alcuni limiti: il tono è forse troppo didascalico e la voce fuori campo si rivela talvolta superflua e tende a spezzare i momenti di tensione emotiva. Il film ha il pregio di toccare temi interessanti e originali (per esempio l'analisi dei legami umani visti in tutte le loro sfaccettature) ma forse è proprio la molteplicità e la complessità degli argomenti trattati a non consentire un approfondimento che avrebbe di certo appassionato lo spettatore ed elevato lo spessore dell'opera.