Unico titolo italiano in concorso nella sezione Alice nella città, Marpiccolo di Alessandro di Robilant arriva al Festival del film di Roma per proporre la realtà disagiata di uno dei quartieri più degradati di Taranto, nel quale si muove il diciottenne protagonista, tra piccoli crimini e l'aspirazione a cambiar vita. La complicata situazione familiare, con un padre malato di videopoker e una madre impegnata a combattere l'inquinamento, non aiuta di certo il giovane che invischiato in un brutto pasticcio finirà in un carcere minorile. Prodotto da Overlook e da RaiCinema e musicato dal post rock dei bravissimi Mokadelic, il film arriverà nelle nostre sale dal 6 novembre, distribuito da Bolero Film. A presentarlo a Roma ci sono il regista Di Robilant, l'esordiente protagonista Giulio Beranek, scovato nella realtà tarantina dopo un cast che ha coinvolto 4.000 ragazzi, e gli attori Michele Riondino, Valentina Carnelutti, Giorgio Colangeli e Anna Ferruzzo.
Alessandro di Robilant, il suo è un film che nall'idea iniziale di sceneggiatura era ambientato a Napoli, poi invece è arrivato in Puglia, in un contesto piuttosto particolare. Com'è nato questo rapporto improvviso con questa realtà?
Alessandro di Robilant: Originariamente il film quando è stato scritto non aveva una precisa ambientazione. Ci siamo arrivati gradualmente. Napoli è stato un passaggio, ma poi il caso ha voluto che essendo io un frequentatore del Sud, sono passato attraverso Taranto e sono rimasto molto colpito dalla sua natura così contrastata: città greca, posizionata in un luogo bellissimo, e poi ferita da tante cose. Taranto poi è un luogo che non è stata molto vista al cinema. Visivamente è una città bellissima che unisce anime diverse e le contrappone, per cui filmarla è molto interessante, perché in ogni inquadratura hai sempre tante cose, una diversa dall'altra. Gli sceneggiatori hanno seguito il nostro percorso, hanno guardato, hanno parlato con la gente, e poi hanno prodotto l'ultima versione dello script.
La scelta di mantenere l'ILVA sullo sfondo senza farla diventare troppo invasiva nella storia deriva dalla scelta casuale di Taranto come ambientazione?
Alessandro di Robilant: Se uno sceglie Taranto non può evitare di parlare dell'ILVA, ma nello stesso tempo non volevamo renderla totalmente protagonista, perché alla fine si sta facendo un film in cui si racconta una storia di ragazzi e delle loro difficoltà.
La storia del film è piuttosto diversa da quella del libro. Che tipo di lavoro ha fatto con gli sceneggiatori e quanti effettivamente sono stati gli step per arrivare alla versione definitiva?
Alessandro di Robilant: Ci sono stati vari passaggi, per ragioni anche naturali. Il libro non identifica una particolare località, di conseguenza ci si è arrivati gradualmente. Abbiamo preso come riferimento il film brasiliano City of God, in cui la rappresentazione degli ultimi, della gente più messa in difficoltà dalla vita, è di grande vitalità. In questi vari passaggi è venuta fuori quest'esigenza di non raccontare persone in difficoltà, gente che sia troppo consapevole e immusonita dalla propria condizione, ma piuttosto esseri umani con una grande vitalità e una capacità di ridere e scherzare.Giulio Beranek, com'è stata per lei questa prima esperienza nel mondo del cinema?
Giulio Beranek: E' stata un'esperienza bellissima. Frequentavo l'ultimo anno delle superiori, stavano facendo i casting e mi sono presentato. Ho fatto provini per tre giorni e alla fine mi hanno chiamato dicendomi che sarei stato il protagonista.
Com'è stata l'esperienza per gli altri attori?
Michele Riondino: Io sono felicissimo di aver partecipato al progetto, perché sono di Taranto e perché sono di quel quartiere lì. E' stato importante farlo, è stata un'occasione per la città e per gli abitanti di quel quartiere di avere a che fare con la macchina cinema. Per un giorno si sono sentiti protagonisti tutti. Taranto è la parte sporca dell'Italia, è la polvere che si nasconde sotto il tappeto. Non abbiamo dato voce al dramma, perché alla fine portiamo avanti una vita normale. Non è un caso che l'ILVA faccia da sfondo, perché per noi è lo sfondo naturale. Ce l'abbiamo dappertutto, ci entra nel campo visivo. Anche solo vederla in un angolino del fotogramma è già tanto. Diventa come il sole, perché c'è sempre.
Valentina Carnelutti: Io interpreto il ruolo dell'insegnante e credo che una buona insegnante oggi sia anche una buona volontaria e per questo dev'essere appassionata, viste le condizioni in cui versa l'insegnamento. Il mio personaggio aveva un obiettivo amorevole nei confronti di questo ragazzo. Con la cultura si riesce a fare qualche cosa. Avevo poche occasioni per raggiungere questo obiettivo, come spesso accade per un insegnante, e quindi mi sono concentrata su questo punto, punteggiando il mio percorso con questo pensiero.
Giorgio Colangeli: Del film mi è piaciuto l'argomento, la storia, e il mio ruolo, quello di un educatore che svolgendo la sua professione senza troppa consapevolezza risulta un surrogato paterno di un padre molto latitante. Poi mi piaceva l'ottimismo del film: Giulio ritrova la strada perché ha avuto una buona educazione a scuola.
Anna Ferruzzo: Anch'io come Michele, sono di Taranto. La fisicità del mio personaggio è quella di determinate zone, è quella anche del quartiere Paolo VI, di quelle donne che combattono perché non venga costruita un'antenna di fronte alla scuola dei propri bambini. Sono donne a cui resta solo la presenza fisica per contrastare certe cose. Affrontare il ruolo di questa madre in maniera così fisica è stato un modo di leggere quel personaggio, perché avrebbe potuto essere introspettivo, riflessivo, ma in quel contesto, con quelle donne che mi facevano da spalla e di cui in qualche modo Maria è il leader, non potevo che assorbire quell'energia e investirla nel mio personaggio.