Alessandro troppo grande per Stone
La vita del mitico Alessandro Magno, vista dall'occhio affascinato di Oliver Stone e mediata dagli studi dello specialista Robin Fox Lane, professore a Oxford. Dalla giovinezza trascorsa nella reggia di Pella, agli studi con Aristotele, all'addestramento, all'ambizione ad essere il nuovo Achille (suo antenato), all'incoronamento a Re all'età di venti anni e all'arrivo a una sua dimensione assolutamente personale, in termini di obiettivi e strategie militari. Un personaggio ricco, affascinante e multidimensionale, estremamente adatto per un'epopea in costume da 150 milioni di dollari, in virtù anche della sua prematura scomparsa, dopo intensissimi anni di battaglie sempre più ad Oriente, amori, vino, conflitti esistenziali e ambizioni spropositate.
Il risultato è un film discutibile, non del tutto negativo, ma certamente costellato da molti momenti poco convincenti e caratterizzato da una struttura generale piuttosto debole. E' stato un insuccesso negli Stati Uniti e probabilmente non farà faville nemmeno in Europa. A questo proposito, è fondamentale premettere, prima di portare successive argomentazioni, che, in barba a tutte le polemiche, il film non funziona per motivi squisitamente cinematografici sintetizzabili nell'eccessiva verbosità, in un'evidente difficoltà a comunicare con lo spettatore e per uno stile piatto e anche un po' antiquato. Elementi che in film di quasi tre ore fanno sentire il loro peso e che mostrano le prime avvisaglie già dall'infelice incipit affidato alle parole del suo fedele generale Tolomeo (un caricato Anthony Hopkins), a cui è affidata la narrazione degli eventi.
Le difficoltà evidenti che ha la pellicola a prendere corpo sono confermate dalla didascalica introduzione all'infanzia di Alessandro, tutta centrata sull'ambiguo e morboso rapporto con la madre, sulla conflittualità verso il padre Filippo e sull'indissolubile legame con Efestione (in pratica, i tre snodi drammaturgici principali del film). L'addestramento alla guerra, fino alla presa di coscienza da parte del personaggio del suo carisma non funzionano adeguatamente ed è necessario attendere la prima scena d'azione: la guerra contro l'imperatore persiano Dario (un incommentabile Raz Degan), per smuovere un po' lo spettatore. Sono infatti le violentissime battaglie i momenti migliori del film, per quanto anche queste realizzate con uno stile datato che non convince molto e soprattutto dominate dalla continua sensazione del già visto. Tra parentesi enfatiche e spettacolari, ridondanze scenografiche, rallentamenti e parentesi narrate, prosegue così l'epopea di un uomo certamente non comune, interpretato tutto sommato in modo accettabile da Colin Farrell, che a parte alcuni momenti un po' troppo sopra le righe, appare l'attore più calibrato del film, anche in virtù di un compito non propriamente facile.
Per contro ai suoi numerosi difetti, Alexander è uno dei pochi peplum rilevanti sotto il profilo storico. Adagiandosi intelligentemente su di un uomo così potente e complesso, che rende inutile l'esercizio troppo invadente del romanzesco e che da forza: sia al mito,da sempre terreno privilegiato della narrazione cinematografica, sia alla storia, nella sua essenza più strettamente evocativa. Su questo aspetto-confine, Stone lavora bene, ma entro certi limiti. Racconta il percorso di Alessandro conquistatore, nel modo più vicino possibile a come tutti noi l'abbiamo studiato sui libri di storia, riuscendo a comunicarne a pieno la forza simbolica e non smussando niente, in termine di conflittualità del personaggio ed elevandosi sotto questo aspetto notevolmente rispetto ai vari Troy e a Il gladiatore. Allo stesso tempo, però, appare debole e banale la dimensione più strettamente biografica: ostenta alcuni aspetti come quello legato all'omosessualità in modo probabilmente eccessivo (come se la sua tendenza anarcoide a svelare le ipocrisie della morale contemporanea gli prenda la mano, o più probabilmente per avere un'argomentazione strumentale da utilizzare contro i perbenismi scandalizzati) e calca gli accenti, come gli è tipico, nella retorica e nella pedagogia, forzando, a parere del sottoscritto, decisamente il ruolo e il posto che ha nella storia dell'umanità il grande imperatore macedone (tesi dimostrata dallo spurio parallelismo con la situazione politica attuale che il regista ha manifestato nell'incontro con la stampa).
L'asciuttezza con cui è presentato il lato storico del plot è comunque purtroppo affiancata da una mediocre gestione del mondo dei rapporti sociali ed affettivi di Alessandro. Mal centrato per evidenti e semplicistici psicologismi riduttivi è il rapporto di Alessandro con i genitori, specie con la madre, interpretata da una poco convincente Angelina Jolie. Scritto meglio ma reso male, il contraddittorio e complesso rapporto col padre Filippo (è doloroso attestare anche in questo caso una mediocre interpretazione, questa volta di Val Kilmer). Stesso discorso vale per il rapporto con sua moglie (una splendida quanto fuori ruolo Rosario Dawson che viene costretta a una tremenda e insulsa scena nel momento della loro prima unione) e con il suo amato Efestione. Più convincenti sono i rapporti con l'ala dissidente dei suoi ufficiali di guerra, i cui aspri confronti hanno il valore metaforico di fornire la portata politico-filosofica del personaggio Alessandro e la sua assoluta distanza dai paradigmi del tempo in termini di obiettivi e strategie.
In definitiva, la sensazione che si ha è quella di un film per un certo verso ambizioso e per un altro ridondante e ruffiano da cui Stone esce con le ossa rotte quanto il suo protagonista. Il regista di tanto ottimo e discutibile cinema americano delle ultime due decadi, sembra confrontarsi con un genere ed una storia che, per quanto lui dica lo abbiano sempre appassionato, sia del tutto fuori dalla sue corde registiche. Ne esce un film poco digeribile, estremamente dilatato e pieno di tempi morti; incapace di trarre vantaggio neanche dalle usuali mastodontiche scenografie, dalle sanguinolente battaglie e dagli sfarzosi costumi, in linea con la maestosità ed il respiro epico del genere. Quale che sia l'aspettativa riposta, il film delude per incapacità di appassionare lo spettatore; limite sorprendente per un regista, spiazzante e contraddittorio quanto si vuole nella sua produzione, ma indubbiamente capace di padroneggiare temi e durate di questo tipo, coinvolgendo il pubblico in modo encomiabile. Una domanda rimane insoluta ed intrigante: se fosse andato in porto il progetto del visionario Baz Luhrmann che Alessandro avremmo visto?