Recensione How I Ended This Summer (2010)

Il regista Aleksei Popogrebsky gestisce il film con passo lento ed ipnotico, uno stile che inizialmente risulta efficace, ma che alla lunga toglie punti di riferimento narrativi.

Al confine del mondo

Un'isola artica della Russia non è esattamente un villaggio turistico e non è certamente un posto piacevole in cui passare l'estate. E' lì però che il giovane Pavel, un giovane laureato, viene mandato per affiancare il più esperto Sergei nel suo lavoro di rilevazione in una piccola stazione meteorologica. Il compito è semplice, ma delicato e ripetitivo: effettuare rilevazioni periodiche del circondario parzialmente radioattivo per inviare i dati al loro quartier generale via radio, il loro unico contatto con la civiltà. Età a parte, i due non potrebbero essere più diversi, soprattutto nell'approccio al lavoro: per Sergei è ormai un compito consolidato che effettua automaticamente con sicurezza, mentre Pavel cerca di distrarsi tra mp3 e videogiochi.
L'imprevisto è però in agguato e va a sconvolgere i delicati equilibri tra i due di una situazione al limite come questa, dando il via ad una serie di eventi che precipitano verso il dramma.

Il regista Aleksei Popogrebsky gestisce How I Ended This Summer con passo lento ed ipnotico, soffermandosi sui paesaggi e sulla ripetitività del lavoro dei due, con una struttura frammentata che sottolinea la malsana percezione del tempo da parte dei protagonisti, evitando spesso una consequenzialità diretta tra le azioni che vediamo compiere loro e le successive, accrescendo il senso di smarrimento e lasciando che lo spettatore comprenda il disagio dei due personaggi. Uno stile che inizialmente risulta efficace, e che consente di provare empatia per Sergei e Pavel e di vivere il loro disagio, ma che alla lunga toglie punti di riferimento narrativi, rendendo incomprensibili le motivazioni di molte della azioni che vediamo compiere ai due protagonisti, soprattutto quelle del giovane Pavel nella seconda parte del film.
E' il quasi esordiente Grigory Dobrygin a dare il volto a Pavel, mentre è il più noto Sergei Puskepalis a vestire i panni del collega più anziano, ed entrambi si sforzano di rendere credibili due personaggi le cui azioni appaiono quantomeno confuse, a tratti incoerenti, condotte ed influenzate dalla situazione di stress ed insicurezza in cui si trovano a vivere in questa ambientazione desolata e desolante.
Terza, suggestiva protagonista è proprio l'ambientazione, l'isolata e desolata Chukotka, il margine più orientale della Russia, che fa da sfondo alla vicenda, con i suoi spazi, le sue scogliere e l'implacabile mare artico, la nebbia, le onde e le sue atmosfere, perfettamente assimilate dal regista che ha passato tre mesi in una vera stazione meteo che si trova sul posto, ottenendo un senso di realismo che rappresenta l'aspetto più riuscito ed interessante del film.

Movieplayer.it

2.0/5