Recensione Al calare delle tenebre (2003)

Prendendo spunto da una storia per bambini diffusa in tutto il mondo, quella della fata dei dentini, Al calare delle tenebre la trasforma in una storia gotica e horror che deve molto alle atmosfere e all'immaginario di molti libri di Stephen King.

Al calare della palpebra

L'ennesimo horror estivo di questa stagione oramai arrivata agli sgoccioli è un film dal titolo Al calare delle tenebre, diretto dal giovane regista sudafricano Jonathan Liebesman.
Una tranquilla cittadina americana, Darkness Falls, è da 150 anni tormentata dal fantasma di Mathilda Dixon, in vita conosciuta come "la fata dentina" e linciata ingiustamente dalla folla che la credeva un'assassina. Ora Mathilda torna di notte per prendere l'ultimo dente da latte di ogni bambino; se qualcuno osa guardarla, Mathilda lo uccide, o lo perseguita fino a quando non ci riesce.
È quanto è successo al giovane Kyle, che da 12 anni vive alla luce e cercando di dormire il meno possibile per evitare il terribile fantasma. Ma quando è il fratellino della sua ex ad essere perseguitato da Mathilda, Kyle deve affrontare una volta per tutte le sue paure.

Prendendo spunto da una storia per bambini diffusa in tutto il mondo, quella della fata dei dentini, Al calare delle tenebre la trasforma in una storia gotica e horror che deve molto alle atmosfere e all'immaginario di molti libri di Stephen King e dei film da essi tratti. Spunti assolutamente non originali, ma che comunque potevano risultare mediamente interessanti se non si fossero arenati contro scogli che avrebbero affondato una corazzata di buone intenzioni. Scogli che sono incarnati da una sceneggiatura incoerente e superficiale, dalla la scarsa esperienza del regista appena 27enne, da un cast che farebbe ridere persino ad una recita scolastica. E di fronte a tutto questo, la scarsa originalità degli spunti iniziali risalta ancora di più, trasformando quindi il film in un'accozzaglia confusa dei peggiori stereotipi del cinema horror degli ultimi anni.

C'è veramente poco da commentare riguardo questo film, che delude da ogni punto di vista. Ma ci dà lo spunto per effettuare una considerazione relativa al film stesso ed al cinema hollywoodiano in generale: la drammatica perdita d'importanza della sceneggiatura. Tutti i grandi registi del passato e di oggi concordano col dire che una sceneggiatura solida è una base irrinunciabile per fare un buon film. Ma una tristemente larga maggioranza dei film che escono nelle nostre sale considerano la sceneggiatura solo come un canovaccio sul quale costruire dal nulla situazioni, vicende e personaggi, sul quale innestare elaborati e spettacolari (nelle intenzioni) movimenti di macchina ed effetti speciali digitali. Il problema non risiede nemmeno tanto nella scarsa originalità delle storie che arrivano al cinema (d'altronde, ridotte all'osso, le storie archetipiche di base sono pochissime), quanto la risibilità dei dialoghi, e soprattutto l'approssimazione della costruzione narrativa e la scarsissima attenzione alla coerenza interna.

E - tornando al nostro film - la mancanza di solide fondamenta risalta ancora di più nel cinema più puramente di genere, come nel caso di cui stiamo parlando, dell'horror, che senza di esse non riesce inevitabilmente a costruire nulla di veramente solido, data la natura puramente fantasmatica e liminale dei temi che tratta.