Aïcha, recensione: un cinema troppo smarcato per restare impresso

Se la poetica cinematografica tunisina è tra le più fulgide, quello di Mehdi Barsaoui è invece un film dalle troppe strade e dai troppi crismi, finendo per dissipare il profilo di una protagonista molto interessante. A Venezia 81 sezione Orizzonti.

Fatma Sfar in Aïcha

Cinema fluidissimo, quello tunisino. Cinema di visione, di appartenenza, di forte sperimentazione narrativa. Un cinema che, per temi, si evolve verso nuovi spunti e nuovi linguaggi. Ci prova, in questo senso, Mehdi Barsaoui, in un lungometraggio che parla di emancipazione femminile, e di quanto la società - tunisina - sia pressante e autoritaria nei confronti dell'individuo. Storia di una sopravvissuta, Aïcha, presentato nella sezione Orizzonti di Venezia 81, nonché storia di una ricerca della libertà, che passa attraverso numerosi e ingombranti ostacoli (famiglia, lavoro, conoscenze, dogmi, misoginia).

Aicha Un Momento Del Film
Fatma Sfar in Aïcha

Regista già formato, Barsaoui, punta in questo caso ad una narrativa dai risvolti civili, alterando una storia dalle mille (troppe) direzioni. Un cammino effettivamente indeciso nei suoi obbiettivi, divenendo solo un tentativo piuttosto che una forma compiuta nella sua pur splendida protagonista, capace di mantenere una tridimensionalità rispetto ad una sceneggiatura, a volte, appare ripiegata su se stessa.

Aïcha: morire per rinascere in Tunisia. La trama

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Aïcha: un momento del film

La sopravvissuta in questione è Aya (Fatma Sfar, molto brava), trentenne che vive in un piccolo paese nel sud della Tunisia. È stufa del suo lavoro (ha un impiego presso un hotel), ed è stufa dei suoi genitori, che poca l'ascoltano e poco la stimolano. Insomma, si sente in trappola (caratteristiche che la rendono universale). Caso vuole che, mentre sta andando a lavoro a bordo di un minivan, rimane coinvolta in un'incidente. È l'unica sopravvissuta. Fuggendo dal luogo dello schianto, coglie l'occasione e si incammina verso Tunisi. Prova a reinventarsi, a ricominciare, a rifarsi una vita. Tuttavia, resta coinvolta in un crimine, diventando suo malgrado una testimone chiave. Peccato però che la polizia sembra più una minaccia che una sicurezza.

Un cinema troppo smarcato

Come lo stesso regista si domanda, in Tunisia, cosa vuol dire essere liberi? E soprattutto, per esserlo bisogna morire? L'ispirazione e la spinta per Aïcha arrivano, come spesso accade, da un quesito rivelatorio. La fotografia che ne esce, della vibrante dimensione generazionale tunisina, è quindi fedele rispetto all'argomento scelto. Se per la protagonista la fine equivale ad un possibile inizio, viene esplicato da Mehdi Barsaoui il senso della nuova possibilità, applicata alla femminilità, spesso interdetta dalla società e dall'ideale politico.

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Lo sguardo registico di Mehdi Barsaoui

Il percorso di Aya, dall'invisibilità ai colori (c'è effettivamente un cambio di colore nella fotografia di Antoine Héberlé), è però un dialogo che si sforza ad avere una sua forma compiuta, o una sua sostanza. Ciò che dovrebbe accendere Aïcha, infatti, si rivela un pretesto fin troppo smarcato per essere cinematograficamente rilevante. Lo stesso senso di corruzione derivante dagli organi di polizia (e quindi dallo Stato) sembra solo accennata, quasi indecisa. La traccia da dramma umano, che segue la seconda delle due ore (la durata è eccessiva, tanto per cambiare), non ha mai la giusta profondità narrativa, risultando incapace di esprimere il disagio di una protagonista che avrebbe meritato un contesto sicuramente più attento e meno arruffato. L'abbiamo detto: il cinema tunisino è tra i più interessanti del momento, e quello di Mehdi Barsaoui, nella semplicistica sostanza, non riesce a renderli giustizia. Peccato.

Conclusioni

Mehdi Barsaoui affronta l'emancipazione femminile in Tunisia attraverso un film poco coeso e fin troppo lungo, che accavalca diversi temi senza illuminare mai a dovere il concetto principale. Nonostante la bravura di Fatma Sfar, che interpreta una protagonista che avrebbe dovuto aver ben altro contesto. Avremmo voluto di più, anche perché il cinema tunisino è tra quelli odierni più vivi e creativi.

Movieplayer.it
2.0/5
Voto medio
5.0/5

Perché ci piace

  • Fatma Sfar è molto brava.
  • La protagonista, bel personaggio.

Cosa non va

  • La sceneggiatura fatica ad avere una sua prospettiva.
  • Dura troppo.
  • Indecisione generale, ed eccessiva semplicità.