Se sono i dettagli a fare la differenza quando si parla di qualità, allora per spiegarvi la meraviglia di Aftersun, diretto da Charlotte Wells, si dovrebbe partire dal finale. Non ve lo riveliamo di certo, ma ci teniamo a sottolineare nella nostra recensione quanto sia uno dei massimi colpi di cinema visti di recente. Un gioco di dettagli, di sensazioni, di crepuscolari emozioni. Fondamentalmente, l'esordio della regista scozzese, presentato a Cannes 2022 facendo drizzare le antenne a due marchi di prerogativa come A24 (che distribuisce in USA) e come MUBI (che distribuisce in streaming in Italia e in Europa), suscita le stesse vibrazioni che si rimpallano tra lo stomaco e il cuore quando ci capita di imbatterci in una vecchia polaroid o in un vecchio filmino, di quelli amatoriali, girati per immortalare il primo bagno al mare, il Natale con i nonni, il giorno di un lontano compleanno, quando scartavi scartavi e nei pacchetti trovavi qualche penna, la calcolatrice, un set per la colazione. Foto e video, seduti nel fondo di un cassetto che non vuoi aprire, sommersi dai calzini e da vecchie scartoffie. Troppa nostalgia, troppo dolore. Foto e video, vere e proprie macchine del tempo capaci di riaccendere i colori e gli odori ormai persi, causando un cortocircuito che sale fin su agli occhi.
Ecco, quello di Aftersun è lo stesso processo semiotico applicato ed espanso sotto forma di un cinema che porta con sé il peso specifico dei ricordi. Scrittura, luce, regia, naturalezza. Nessuna inquadratura sembra fuori posto o fuori scena, non c'è nessuna traccia di turbamenti emotivi, dato che è la stessa struttura - e gli stessi personaggi - a farsi carico dell'emotività poi liberata in un racconto inquieto e apparentemente semplice. Perché poi, come vediamo nell'idea filmica di Charlotte Wells, non c'è nulla di più complicato e di più instabile rispetto al rapporto padre e figlia. Un rapporto che nel film prende vita poco a poco, senza forzare il ritmo e lasciando che sia la relazione tra i protagonisti ad indirizzare lo spettatore nei meandri di un film strepitoso.
I ricordi rivisti tramite una Handycam DV Sony
Un debutto, quello di Charlotte Wells, che la fa entrare di diritto tra le autrici più interessanti del nuovo cinema indipendente contemporaneo, attento all'estetica quanto alla scrittura. Una scrittura che ci porta nei tardi Anni Novanta (sì, finalmente sono tornati), facendoci conoscere Calum (Paul Mescal), un padre divorziato, e Sophie (Frankie Corio), sua figlia di undici anni, alle prese con una placida vacanza estiva in un accogliente ed economico resort turco. La vacanza non parte benissimo, in quanto devono condividere un letto matrimoniale perché l'agenzia di viaggi ha fatto confusione con la richiesta.
Questo però non sembra scalfire più di tanto i pani, e Aftersun va avanti parallelamente con una vacanza abbastanza canonica: si va in piscina, si fa esce, si canta al karaoke, qualche gita, qualche sparuta amicizia che ha il sapore acerbo dell'amore. Eppure, si sa, l'estate scombussola i fluidi e gli equilibri, e così non mancano alcuni momenti più complessi. I silenzi ogni tanto si allungano, la solitudine rimbomba, il pensiero della piccola Sophie sposta l'attenzione di papà Calum, sopraffatto dal senso di colpa e dal ticchettio dell'orologio. Un orologio che corre veloce, implacabile, pure se provano a fermarlo immortalando la vacanze tramite una Handycam DV Sony. Una vacanza, quella di Calum e Sophie, molto simile ad un addio.
Vecchi ricordi, nuove consapevolezze
Un addio, appunto. Un legame che si ritrova e si perde, una vacanza che sa di attesa, la boccata d'aria da pendere quando ci si tuffa in una piscina senza fondo, la lozione da mettere tornati a casa, dopo il mare, dopo-sole. Aftersun, e la regia di Wells, frammenta le intenzione delineando un confine crepuscolare: le immagini risplendono nella fotografia di Gregory Oke, studiata e riprodotta come se uscisse direttamente dai nostri ricordi in polaroid. Non ci sono storture, non ci sono sterzate: la relazione centrale diventa poco a poco più importante, il torpore acquisisce un significato ancora più intimo, spezzato dai sogni e dalle visioni di Calum: chi è quella donna che lo guarda fisso, tra le luci stroboscopiche di una decadente discoteca?
Lo scopriremo, lo scoprirà Calum tramortito dall'attesa e dallo sconforto, in un girotondo che ci farà finire a gambe per aria. Mentre fuori suonano le hit del momento - da My Oh My degli Aqua a Drinking in L.A. dei Bran Van 3000, Tender dei Blur o Tubthumping dei Chumbawamba - dentro i dettagli vengono sconquassati dalla regista che, con stile e sincerità, scoperchia quella scatola che preferivamo restasse sigillata. Tuttavia, davanti lo splendore è impossibile restare imperturbati, ed è impossibile se poi assistiamo ad uno scambio precoce e recitativo come quello messo in atto da Paul Mescal e da Frankie Corio. Specialmente se riportano a galla memorie e ricordi d'infanzia, rimasti appiccicati nei reticoli della mente e, adesso, trasformati in nuovi significati e nuove consapevolezze.
Conclusioni
Le vibrazioni Anni 90, la bravura di Paul Mescal, i ricordi che si fanno cinema: concludiamo la recensione di Aftersun sottolineando quanto il film sia a tutti gli effetti una sorta di estensione artistica che riguarda la nostra memoria e la nostra infanzia che, a distanza di anni, acquisisce un significato totalmente diverso. Un esordio, quello di Charlotte Wells, assolutamente da non perdere.
Perché ci piace
- Le interpretazioni di Paul Mescal e Frankie Corio.
- L'estetica.
- La regia, solo all'apparenza semplice.
- Le vibrazioni da 90s.
- Il cinema come macchina del tempo.
Cosa non va
- Ci mette un po' a coinvolgerci, ma probabilmente è una scelta voluta.