Recensione A Family (2010)

Pernille Fischer Christensen si dimostra brava nel condurre il cast e metterlo nelle condizioni migliori per una buona prova, scrivendo una sceneggiatura equilibrata e mettendola in scena con una vivacità e brillantezza che rendono il tono meno pesante di quanto il tema lascerebbe pensare.

Affari di famiglia

Da Wang Quanan di Apart Together a Jasmila Zbanic di On the Path, senza dimenticare il Michael Winterbottom di The Killer Inside Me, il ritorno di autori già presenti sugli schermi della Berlinale sembra un tema abbastanza ricorrente della sessantesima edizione del Festival tedesco. A questa schiera di registi è necessario aggiungere anche Pernille Fischer Christensen, premiata nell'edizione 2006 con l'Orso d'argento e come miglior opera prima per A Soap e protagonista anche di quella 2010 con A Family.
Come il titolo fa supporre, si tratta di un dramma familiare che ci racconta della famiglia Rheinwald, sin dai titoli di testa che ne tratteggiano le origini tedesche e l'evoluzione nel corso delle generazioni del panificio che gestiscono e che viene passato di padre in figlio fino all'attuale patriarca Rikard, in ripresa dopo una chemio che gli ha permesso di sconfiggere un tumore ai polmoni. La guarigione spinge Rikard a reagire e sposare la donna con cui ha condiviso gli ultimi anni, pronto ad iniziare ufficialmente una nuova vita, ma un nuovo dramma è alle porte.

Parallelamente la figlia Ditte è costretta a scegliere tra il tenere il figlio che scopre di aspettare ed un trasferimento a New York per un'opportunità lavorativa di notevole importanza, ma la sua decisione si dovrà scontrare con la ricaduta del padre e la necessità di restare in Danimarca per stargli accanto ed eventualmente, come lui vorrebbe, proseguire il suo lavoro nell'azienda di famiglia.

E' l'intera famiglia la vera protagonista di A Family. Nel presentarci i Rheinwald, la Christensen dipinge un contesto inevitabile, sottolineando l'entità familiare come qualcosa di preesistente e mutante, qualcosa che ognuno di noi riceve alla nascita senza possibilità di scegliere. E' così per Ditte, che funge da filo conduttore della storia nel rappresentare i contrasti principali tra dovere e libertà, responsabilità ed amore, che molti di noi vivono nel rapportarsi alla propria famiglia. Lene Maria Christensen, che le dà il volto, mette in scena questo contrasto con grande intensità, ma è solo uno dei membri del brillante cast del film, che è trascinato dall'interpretazione di Jesper Christensen e si rivela di buon livello fino i più giovani attori che danno il volto ai due figli più piccoli di Rikard.

Merito anche di Pernille Fischer Christensen, che si dimostra brava nel condurre il cast e metterlo nelle condizioni migliori per una buona prova, scrivendo, insieme a Kim Fupz Aakeson, una sceneggiatura equilibrata e mettendola in scena con una vivacità e brillantezza che rendono il tono meno pesante di quanto il tema, e la drammatica seconda parte, lascerebbe pensare. La regista ha infatti il pregio di non indugiare sui momenti più drammatici, di non compiacersene, dirigendo con ritmo ed aiutandosi anche con una buona selezione di canzoni per gestire l'atmosfera che le interessa mantenere.
Rispetto all'esordio di quattro anni fa, lo stile della regista ha vissuto un'evoluzione, perdendo in parte il carattere più propriamente europeo e rivelandosi più internazionale, dimostrando di aver sviluppato un approccio più personale alla narrazione.

Movieplayer.it

3.0/5