Camicia bianca e completo color panna. Abel Ferrara si controlla con la fotocamera del telefono prima di concedersi alle interviste che lo aspettano alla settima edizione del Filming Italia Sardegna Festival di cui è ospite. Solo una manciata di giorni prima il regista originario del Bronx ma romano d'adozione è stato tra i protagonisti del Biografilm dove ha presentato in anteprima il suo ultimo lavoro, Turn in the Wound. Un documentario realizzato in Ucraina che ha fatto il suo debutto a Berlino 74 nella sezione Berlinale Spacial.
Un'opera che testimonia i cambiamenti che sono avvenuti nel Paese dall'inizio del conflitto nel febbraio 2022. Un documentario on the road girato per le strade di Kiev il cui Abel Ferrara si muove tra i palazzi martoriati dai bombardamenti e raccoglie le testimonianze del popolazione che, nonostante tutto, resiste. A intervallare Turn in the Wound musica o poesie accompagnate dalla voce di Patti Smith. "Mettiamo poesia in tutto ciò che facciamo", confida il regista, tra un "you know" e l'altro. "Siamo poeti, registi, artisti. Non sono io che ho scelto Rimbaud, è lui che ha scelto me. Il documentario è come una performance sonoro-visiva, una roba vecchia scuola. Mi connetto alla grande con quei poeti".
Turn in the Wound e il racconto della guerra in Ucraina
"Perché ho deciso di fare questo documentario?", racconta il regista."Faccio film da quando ho 16 anni. Quando è scoppiata la guerra mi sono sentito obbligato ad andare lì. Ho avuto l'opportunità di andarci per le persone che, di fatto, gestiscono il Paese e che sono parte del mondo del cinema. Il che è ironico. E Patti Smith, beh, ho sempre desiderato filmarla. È stata un'opportunità per entrambi".
Turn in the Wound ha messo Ferrara a contatto con gli uomini e le donne che da oltre due anni vivono sotto le bombe, documentando la loro quotidianità."Ma non credo ci siano state parti difficili per me e la mia troupe", confida. "Nel senso che la vedo più come un'opportunità. Per imparare, per vedere con i propri occhi. Ti stanchi di ascoltare le fake news. È tutto falso. Ma sai quanto sia difficile per loro avere a che fare con la guerra. È un incubo. Non importa quanto sia difficile per te essere lì".
L'uscita in sala di Padre Pio e l'inizio delle riprese di American Nails
Prima di partire per documentare la guerra che si combatte ai confini dell'Europa, Abel Ferrara era stato tra i protagonisti delle Giornate degli Autori del 2022 durante la 79ª Mostra del Cinema di Venezia con Padre Pio. Una pellicola che intreccia la vita del giovane frate con il volto di Shia LaBeouf a quella dell'eccidio del 1920 a San Giovanni Rotondo in cui persero la vita cittadini appartenenti al partito socialista. "Adoro il fatto che Padre Pio non sia sempre stato un santo", racconta il regista. "Stava cercando la sua vocazione, il proprio coraggio, il proprio impegno per la sua fede. Era uno scrittore incredibile, era in grado di esprimere con le parole il viaggio che stava facendo. Non molte persone potrebbero farlo". Una pellicola che, dopo una lunga attesa, presto arriverà al cinema. "Uscirà in Italia", conferma Abel Ferrara. "Verrà proiettato al Taormina Film Festival. Io e Shia saremo lì per presentarlo e poi arriverà in sala a metà luglio".
Ma cosa significa aspettare due anni per poter condividere il proprio lavoro con il pubblico nel buio di una sala? "Ho 73 anni, il tempo non significa un cazzo per me", confida schiettamente Ferrara. "Non mi interessa se aspetto. Ci ho messo otto anni per realizzarlo. È una vita. Ho passato vent'anni aspettando di fare un altro film. In questo settore meglio non iniziare a contare i minuti". Ma superati i settant'anni, il regista de Il cattivo tenente non sembra intenzionato a fermarsi. La riprova è American Nails."Lo girerò con Asia Argento e Willem Dafoe a Bari. È un film di gangster basato sulla tragedia greca di Fedra. Inizieremo le riprese a settembre. Sarà una storia contemporanea".
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Lo stato del cinema attuale
Quello di Abel Ferrara è un cinema sempre più distante dalla grande industria di Hollywood e sempre più libero e indipendente. Un cinema che gli somiglia. "Il processo di realizzazione dei film sta cambiando. Cambia sempre. Il business si sta trasformando così come le persone con cui lavoro. Questa è la realtà della vita: niente rimane uguale, mai. Nemmeno per un secondo", riflette il regista.
"E poi dipende di che cinema stiamo parlando", continua Ferrara. "Ci sono ragazzini che girano con il telefono a casa della madre. Non ci sono banchieri che li aiutano. C'è una certa parte di questo business per cui devi andare in banca. Mi è capitato di esserne parte. So tutto delle banche. Ma non è l'unico gioco in città".
Oltre trenta lungometraggi in oltre cinquant'anni di carriera. È più facile oggi avviare una produzione cinematografica grazie allo status di autore raggiunto? "Sono l'Abel Ferrara di questo momento. C'erano certe cose quando avevo 25 anni che erano a mio favore, altre quando ne avevo 50 anni, altre ancora adesso. Odio dover rinunciare alla mia età, il mese prossimo compirò 73 anni. Ma sono vivo e ho la mente intatta. Posso camminare, posso parlare...", ammette il regista che oltre a sedere dietro la macchina da presa siede anche dietro la cattedra insegnando ad aspiranti registi. "Mi ravviva. Posso condividere delle cose che so, ma posso anche imparare molto. Imparo più io da questi ragazzi di quanto loro da me. Ma io sono più pazzo di loro", afferma ridendo.
New York e le elezioni americane
Passeggiando tra i portici di Piazza Vittorio a Roma, sfondo di tanto cinema italiano - da classici come Ladri di biciclette al più recente Grosso guaio all'Esquilino: la leggenda del Kung Fu - non è difficile imbattersi in Abel Ferrara che ha scelto la Città Eterna e l'Esquilino come suo punto di riferimento. "Mi piace l'Europa, amo vivere a Roma. Sono italo-americano, quindi mi sono legato alla cultura di questo Paese, ma New York è casa mia" continua Abel Ferrara. "Non mi manca in quanto tale, perché ho il vantaggio di poterci tornare. Però mi manca la New York in cui sono cresciuto. Quella old school con gli artisti poveri in difficoltà. Ora è una città per gente ricca. E io non sono ricco. Sono un po' fuori di sintonia con la mia città".
Impossibile non domandare al regista di Pasolini delle elezioni presidenziali che si svolgeranno quest'anno oltreoceano."Se voterò? Fuck yeah", risponde d'impulso il regista. "Non ho paura dell'esito. Voglio dire, cosa può succedere? Tra quattro anni, chiunque arrivi lì, se ne andrà. E lo ingigantiranno a dismisura. C'ero quando è stato eletto Richard Nixon, c'ero quando è stato eletto Ronald Reagan, ero lì per George W. Bush. Il Paese non andrà da nessuna parte. Gli Stati Uniti sono resilienti, le persone sono resilienti. Affronteranno qualunque cosa accadrà".