Abbiamo trovato delle rose
_"Una storia che coinvolge me stesso prima di tutti. La loro è una grande storia, il grande amore che ti segna l'esistenza, la passione che cambia il corso della vita". _ (Note del regista Michele Placido)
Volevo proprio vederlo, quel film di cui tanto avevo sentito parlare, quell'ipotetico capolavoro plasmato dalle esperte mani del noto Michele Placido, quella pellicola i cui soli nomi dei due protagonisti bastavano già a garantirne la professionalità ed il sicuro successo.
Una scelta geniale, quella del casting: affiancare l'attore più in auge del momento (l'ormai celeberrimo Stefano Accorsi), ad una donna che, vestendo ora i panni della sensuale Sibilla Aleramo - e sfoggiando un fisico davvero invidiabile che maschera in modo sorprendente gli anni della matura Laura Morante! - non avrebbe potuto che ammaliare ancora una volta quegli stessi spettatori commossi poco tempo prima dalla sua toccante umanità ne La stanza del figlio.
Neanche Accorsi, "Casanova" reduce dal suo "Ultimo bacio", delude minimamente le aspettative del pubblico, esibendosi in tutto il fascino sinistro del poeta maledetto, dello scrittore pazzo, un personaggio particolarmente delicato, ma perfettamente incarnato da questo brillante attore, che a Venezia riesce così ad aggiudicarsi la meritatissima Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile.
Un altro applauso va alla sceneggiatura e ai costumi, che in modo davvero apprezzabile riportano lo spettatore al lontano primo ventennio del '900, tempo dell'incontro fatale (1916) fra le due tormentate anime letterarie del poeta Dino Campana e della scrittrice Sibilla Aleramo. Tutto ha inizio da una relazione epistolare voluta intraprendere proprio da Sibilla, che è rimasta assolutamente affascinata dai versi di uno stravagante quanto spregiudicato compositore, secondo il quale i rinomati poeti fiorentini - appassionatamente frequentati dalla stessa Aleramo- non sono altro che "le massime cloache della letteratura italiana".
La prima volta che i due si vedono di persona, si svela indubbiamente decisiva: fra di loro scocca subito fiammeggiante la scintilla della passione, che da quel giorno nessuno riuscirà più a spegnere, né tanto meno a controllare. Entrambi i personaggi finiranno così col diventare pazzi, pazzi di un amore che porta un nome improprio, non rivelandosi altro che maniacale dipendenza, tormento, ossessione, violenza, devastazione... morbosa attrazione fatale.
Un viaggio chiamato amore è la storia di quest'impazzito e irrefrenabile ciclone d'amore, che travolge nel suo furore folle due vite già di per sé travagliate. Il viaggio indicato dal titolo è tutt'altro che romantico: è un viaggio interiore a ritroso scandito dalla sequenza di incalzanti flashbacks, che scavano nella triste infanzia della piccola Aleramo che assiste al suicidio della madre; che frugano nell'adolescenza difficile della bella Sibilla costretta a sposarsi con un uomo violento che abusa di lei; che si intrufolano nel dolore della materna scrittrice che prende la sofferta decisione di abbandonare il proprio figlio, forzatamente concepito all'innocente età di soli sedici anni, senza riuscire più a rivederlo.
Per quanto riguarda la regia, forse ci si sarebbe aspettati di più dal genio del grande Placido, che sembra perdersi un po' troppo spesso sotto le gonne della Morante, in questo film che, grandioso nel mostrare il travaglio psicologico di entrambi i personaggi, perde vagamente di qualità nelle gratuite sequenze erotiche, che a volte sembrano interporsi fra i fili della narrazione in maniera insistentemente invadente. Le scene più incisive rimangono senz'altro quelle che mostrano l'altra faccia della quasi schizofrenica relazione fra i due giovani letterati: pianti disperati, urli agghiaccianti, improvvisi scatti d'ira e brutali scontri fisici, che il più delle volte finiscono paradossalmente con inaspettati ritorni di passione.
Splendido, infine, l'inserimento della poesia di Dino Campana a cui s'ispira il titolo del film, interpretata dalla calda voce del protagonista proprio sullo svolgersi dei titoli di coda; dopo tante immagini intrise di cruda concretezza, il regista sembra volerci regalare un'emozione pura, affidando il suo insolito quanto imprevedibile finale soltanto a queste commoventi parole, che s'insinuano nei cuori sconvolti e tormentati degli spettatori come freschi aliti di vento:
_Le cercavamo insieme Abbiamo trovato delle rose Erano le sue rose erano le mie rose Questo viaggio chiamavamo amore Col nostro sangue e colle nostre lagrime facevamo le rose Che brillavano un momento al sole del mattino Le abbiamo sfiorite sotto il sole tra i rovi Le rose che non erano le nostre rose Le mie rose le sue rose P.S. E così dimenticammo le rose. _
(per Sibilla Aleramo; "In un momento", D.Campana)