Valeria Bruni Tedeschi non è solo un'interprete richiestissima. Nel corso degli anni l'interprete de La pazza gioia si è messa alla prova più volte dietro la macchina da presa con esiti interessanti. Con A Young Girl in Her Nineties, l'attrice ci prende in contropiede realizzando il suo primo lavoro di non fiction, un documentario sorprendente che trova la sua collocazione ideale nel Fuori Concorso del Festival di Locarno. Il film, piccolo e prezioso, è stato realizzato in Francia con la complicità del co-regista Yann Coridian, che aveva già collaborato con lei in È più facile per un cammello.... Focus del documentario è l'atelier di danza tenuto dal coreografo Thierry Thieû Niang presso l'Ospedale Charles Foix d'Ivry, che ospita pazienti affetti da Alzheimer.
L'obiettivo di Valeria Bruni Tedeschi testimonia la grazia e il trasporto con cui Thierry si avvicina agli anziani pazienti della struttura, affetti da gravi problemi motori, coinvolgendoli nelle sue evoluzioni grazie all'aiuto della musica e del canto. Il gesto di una mano, un accenno di danza in piedi o a sedere o anche solo il seguire con gli occhi i movimenti di Thierry sono una vittoria per questi anziani soli, costretti dalla malattia a risiedere in una struttura che offre loro sostegno medico, ma li priva dell'affetto dei loro cari. Tra i tanti piccoli miracoli stimolati dai passi di danza di Thierry, il miracolo più grande è l'amore. L'amore che non ha età. Ne sa qualcosa l'anziana Blanche Moreau, nome che più cinematografico non si potrebbe per una paziente dagli occhi cerulei, fragile come un uccellino e stretta al suo bastone, che grazie all'incontro con Thierry riscoprirà passioni sopite.
L'amore non ha età
A Young Girl in Her Nineties è un'opera eccezionale, nata da una commistione di ingredienti tutti ugualmente fondamentali: la sensibilità e la delicatezza dei suoi autori, la struttura, un ospedale pubblico, ci tiene a specificare Valeria Bruni Tedeschi, aperto alle sperimentazioni, la presenza carismatica di Thierry Thieû Niang e poi ci sono loro, questi anziani così straordinari nella loro fragilità a partire proprio da Blanche. Non sappiamo se fosse nelle intenzioni degli autori fin dal principio, ma l'effetto del contatto quotidiano di Thierry con i pazienti provoca epifanie, risvegli, sensazioni e reazioni inaspettate che danno vita a una trama amorosa spontanea e commovente. L'innamoramento di Blanche per Thierry è solo uno dei tanti momenti magici in cui si sviluppa una verità di sentimenti che mette a nudo l'umanità dei vari individui e, con essi, dello spettatore. A Young Girl in Her Ninetees rappresenta, infatti, un risveglio non solo per i pazienti affetti da Alzheimer che impariamo a conoscere sullo schermo, ma anche e soprattutto per il pubblico. Chiunque sia toccato direttamente o indirettamente dalla malattia o dai problemi che la vecchiaia porta con sé non potrà non sentirsi coinvolto dal film che la Bruni Tedeschi e il suo collega francese ci regalano.
Due telecamere invisibili
Fin dal titolo, A Young Girl in Her Ninetees (in versione originale Une Jeune Fille de 90 ans) cerca un accostamento tra vecchiaia e gioventù, in quel continuum che è l'esistenza. E' la stessa Valeria Bruni Tedeschi a spiegare che il contatto con i pazienti affetti da Alzheimer ha creato una "delicata connessione con l'infanzia. Per uno strano cortocircuito il comportamento dei pazienti, la loro ingenuità e la loro fragilità, ci spingevano a rivolgerci a loro come a bambini piccoli". Fulcro di questa felice operazione è l'incontro con Thierry Thieû Niang. "L'ho incontrato grazie a Patrice Chéreau" prosegue Valeria Bruni Tedeschi. "Thierry realizza spettacoli con persone di ogni età. Ci tengo a dire che quello che vede nel film non è un atelier terapeutico, bensì artistico. È la personalità particolare di questo artista ad aver risvegliato persone che sembravano quasi addormentate dall'età e dalla malattia".
Riguardo alla genesi del film, l'attrice racconta: "Quando Arté mi ha proposto di realizzare un documentario, ho subito coinvolto Yann nel lavoro. È stato Patrice Chéreau a darmi il coraggio di dirigere un film simile, così personale, che richiedeva tempo per essere sviluppato. Così io e Yann siamo entrati discretamente in questo mondo. Avere due telecamere ci ha resi più discreti, ci ha aiutato a trovare la giusta distanza nel documentario. La presenza del cinema ha cambiato il comportamento dei malati, il cinema ha un potere erotico. La parola amore è la chiave di lettura del film, è un miracolo occorso sotto i nostri occhi, non era assolutamente previsto". Riflettendo sull'impatto che questo film ha avuto su di lei, Valeria Bruni Tedeschi conclude: "Vedere me stessa vecchia mi fa bene, mi calma dalle mie paure. Ciò che mi spaventa di più, però, è la solitudine".
Movieplayer.it
4.0/5