Alla fine dei giochi, A Working Man di David Ayer è un action spacca-ossa che non si perde in sottigliezze e prosegue dritto e spedito verso la meta. Un pizzico di humour (che non guasta mai), e il faccione granitico di Jason Statham quasi sempre in primo piano (e quanto vorremmo vederlo in altri ruoli!), pronto a menare-le-mani e farsi strada verso una risoluzione scontata (ma la prevedibilie fa parte del gioco).

Il resto? Non pervenuto. A Working Man, un titolo ammettiamo ben studiato, è basato sul romanzo di Chuck Dixon Levon's Trade (uscito nel 2014), nonché è co-scritto da Ayer insieme a Sylvester Stallone (eh già). Per dire, dieci anni fa - ma forse anche meno - A Working Man sarebbe stato interpretato proprio da Sly: eroe duro, coriaceo, instancabile, mosso da una nobiltà machista che ammicca ai grossi calibri e ai muscoli al servizio della giustizia.
A Working Man: Jason Statham versione operaio

Il protagonista, Levon Cade, è un ex Royal Marine Commando votato, dopo il servizio, alla manovalanza edile. Sudore, scarpe anti-infortunistiche e un resistente giaccone Carhartt. Working man tout court, è a capo di una squadra di costruzione, gestita dalla famiglia Garcia (Michael Pena e Noemi Gonzalez), a cui Levon è molto legato. Quando la diciannovenne Jenny (Arianna Rivas), figlia dei Garcia, viene rapita, Levon torna all'azione intento a trovarla, lasciando dietro di sé una scia di sangue. La ricerca però è tutt'altro che facile, perché dietro il sequestro ci sono gli intricati piani criminali della potentissima mafia russa, colpevole di orchestrare uno spietato traffico di esseri umani.
Un film d'azione poco ispirato (ma pronto per la saga)

Il mastodontico problema di A Working Man è la ripetitività d'uso portata avanti da David Ayer, regista con una carriera che più ondivaga non si potrebbe (è lo stesso che ha diretto l'ottimo Fury e il sottovaluto End of Watch, ha scritto persino Training Day, ma è pure il regista di Suicide Squad e Bright). La pellicola non aggiunge (e non toglie granché) al genere, pur non avendo nel suo spirito la voglia di essere per forza originale. Anzi. Il punto, però, è la schematicità poco ispirata con cui viene portata avanti l'escalation dell'operaio giustiziere, sfruttando un copia e incolla dal gusto grezzo, allungata da una durata decisamente ingiustificabile: due ore.

Ora, il timing è un problema abbastanza generalizzato, e frutto dallo sfruttamento successivo dei film in streaming (bisogna ingaggiare gli utenti, intrattenendoli il più a lungo possibile), ma è innegabile quanto i troppi minuti possano inficiare sull'attenzione e sulla struttura generale (avvolta da un costante accompagnamento musicale), soprattutto in operazioni come A Working Man, in cui la velocità è essenziale. Sotto sotto, l'action di Ayer, tecnicamente pronto per una possibile saga, nella sua semplicità ammicca a quel tono propedeutico per una visione da pop-corn e bibita gassata. Accettabile, lecito e vitale per l'economia del cinema, ma forse - accostato ad altri film similari con il duro e puro Statham - fin troppo dimenticabile.
Conclusioni
David Ayer ritrova Jason Statham in un action movie scritto insieme a Sylvester Stallone. Lo spunto narrativo ci sarebbe, ciò che manca è un barlume di originalità che non risulti solo un copia-e-incolla delle numerose scene d'azione. La durata, tra l'altro, non aiuta: sfiorare le due ore porta a dilatare la tensione, facendoci disinteressare ad una storia ampiamente prevedibile.
Perché ci piace
- Alla fine c'è Jason Statham.
- Lo spunto, se non originale, è un buon traino.
- Lo script è di Sylvester Stallone.
Cosa non va
- L'azione copia-e-incolla.
- La durata.
- Fin troppo dimenticabile.