Nei suoi documentari artistici, il canadese Denis Côté si è occupato di cimiteri di auto, zoo atipici e caotici luoghi di lavoro. Stavolta lo sguardo del regista indipendente si posa sul bodybuilding. Habitué del Festival di Locarno, dove ha vinto due volte il premio per la miglior regia - nel 2008 con Elle veut le chaos e nel 2010 con Curling - Cote torna in concorso con A Skin So Soft, titolo che già riflette la natura dell'opera. Il regista ci tiene, però, a mettere in chiaro di non aver sviluppato una particolare passione per il bodybuilding. "Amo i palestrati? Non particolarmente. Sono un palestrato? No di certo. Quando lavoro sono concentrato sulle immagini, non sul soggetto. L'interesse per il bodybuilding è nato per caso. Sono entrato in contatto con un culturista, Benoit Lapierre. In un primo tempo la mia intenzione era incentrare il film su di lui, ma guardando la sua pagina Facebook mi sono reso conto della peculiarità dei suoi contatti, ho cominciato a conoscere altri culturisti e ho deciso di ampliare l'ambito del mio interesse".
Ciò che preme a Denis Cote, in questo come negli altri suoi lavori, è realizzare un'opera personale usando il tema del bodybuilding per raccontare qualcosa che gli sta a cuore. "Se accendete la tv è pieno di programmi sul fitness e sul culturismo. Per non parlare dei film. Ce ne sono di famosissimi, a partire da Uomo d'acciaio - Pumping Iron con Arnold Schwarzenegger. La mia paura era fare il solito film sul bodybuilding, volevo trovare un nuovo approccio. Così ho pensato di mostrare gli atleti fuori dalla palestra, lontano dalla competizione. Li ho ripresi mentre lavano i piatti o mentre mangiano. Il risultato è un film che può essere percepito come poetico, divertente, ma non ha alcun tipo di valenza sociale".
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Tanti corpi per parlare del proprio corpo
Ospite a Locarno insieme a Ronald Yang, uno dei culturisti presenti nel documentario, Denis Cote sottolinea come, al di là dello humor che contraddistingue tutta la sua produzione, non c'è alcun intento critico nei confronti nei bodybuilder. "La mia intenzione non era quella né di deriderli né di criticarli. Loro stessi sono i primi a essere consapevoli che certi comportamenti portati all'estremo risultano pericolosi. Ma se volete informarvi sulle medicine che prendono o sui loro allenamenti basta che accendiate la tv o che entriate in una palestra. Ho conosciuto questi atleti e mi sono appassionato a loro, così ho deciso di fare un film su persone che hanno una passione. Hanno una vita folle. Io li ammiro, mi sono un po' innamorato del loro modo di essere".
Le lunghe e insistite sequenze di A Skin So Soft sul corpo dei bodybuilder, sui trattamenti a cui si sottopongono, alla loro attenzione per l'immagine genera un film che è una sinfonia di corpi. E il corpo è al centro della produzione del regista quebecchese in molti modi, visto che è legata a una situazione di sofferenza personale che Cote vive da dieci anni. "Se ripenso ai miei film, in quasi tutti c'è una persona malata, malattie mentali, diabete, infermità. Da dieci anni convivo con una disfunzione renale e forse più avanti dovrò entrare in dialisi o pensare a un trapianto. Questa mia condizione mi ha spinto a realizzare un film sul corpo, sul suo funzionamento, su un certo tipo di bellezza portata all'estremo. La storia di molti culturisti è simile, molti di loro hanno scelto di modellare il proprio corpo in seguito alla sofferenza, molti erano grassi, fragili, hanno vissuto per la strada o sono stati bullizzati a scuola durante l'infanzia e metter su muscoli è un modo per esprimere se stessi e distanziarsi dal passato. Fare un film sui loro corpi mi ha aiutato a riflettere sul mio".
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"Il mestiere del regista è manipolare la realtà"
La commistione tra realtà e finzione è uno degli ingredienti essenziali del cinema di Denis Cote, sia nella produzione fictional che in quella documentaristica. Lui stesso non si sente di definire A Skin So Soft un documentario vero e proprio, ma piuttosto una sorta di docufiction. "Sono contento quando le persone vedono il mio film e non distinguono la realtà dalla finzione. Fare il regista significa fare scelte radicali, mentire sulla realtà. Ci sono parti intere del film create a tavolino. Per esempio, il litigio del culturista con la fidanzata è tutto inventato così come le scene in cui Ronald si fa i selfie in garage. Le parti più sciocche sono recitate. Anche le scene fictional, però, sono basate sulla loro realtà. Nel film c'è un atleta che guarda i video su YouTube e piange. E' stato proprio lui a raccontarmi che ogni mattina, mentre guarda i video motivazionali, piange perché ripensa a quando tre anni fa viveva sulla strada e si drogava. Abbiamo girato la scena e ha pianto realmente al primo ciak. Questi momenti non si possono scrivere. Vanno catturati".
Arte e scultura. Così Denis Cote definisce il lavoro dei culturisti immortalato dal suo documentario. "Questi ragazzi postano su Facebook o Instagram molte più foto di quanto fanno gli altri, ma è perfettamente normale" specifica il regista. "Per tutto il film li ho filmati separatamente. Il bobybuilding è uno sport solitario fino al giorno in cui non sali sul palco per i concorsi. Ma a un certo punto ho pensato che sarebbe stato fantastico riunirli e portarli in un luogo dove potessero rilassarsi. Non hanno il senso di comunità e io l'ho voluto creare forzatamente. Volevo dare al film un finale poetico, romantico, fanciullesco. Così ho preso un minibus e li ho portati con me in campagna, a un'ora da Montreal. Abbiamo dormito una notte tutti insieme e ho capito che tra di loro non c'è competizione. Forse all'inizio si guardavano con un pizzico di invidia, fissavano i muscoli degli altri come pezzi di carne". Agli sguardi più maliziosi non sfugge una sottile componente omoerotica che permea il film. Denis Cote ammette che è voluta, ma che fa parte anch'essa del suo sguardo sull'argomento: "Vedere questi uomini seminudi mi ha fatto cercare una componente omoerotica che ho suggerito nel finale, ma che in realtà non esiste affatto. Durante i concorsi i bodybuilder sono abitati a stare nudi, uomini e donne, con indosso solo un costumino. A uno sguardo esterno può sembrare una cosa maliziosa, ma loro non ci fanno caso".