At Work, recensione: Valérie Donzelli e l'esaltazione della libertà

La regista racconta la storia di un fotografo che ha tutto, ma decide di stravolgere la propria vita perché ha un'urgenza: scrivere. Bastien Bouillon è struggente. In concorso a Venezia 82.

Bastien Bouillon è il protagonista di À pied d'œuvre (At Work)

In un mondo in cui il valore di una persona si quantifica con i soldi che guadagna, un fotografo di successo che decide di mollare tutto per seguire un sogno rimasto inespresso per anni è considerato un pazzo. Franck Courtès, che per uno scatto prendeva migliaia di euro, superati i 40 anni ha fatto l'impensabile: dedicarsi alla scrittura. Nonostante l'essere additato da amici e parenti come un folle, c'è riuscito. E ora uno dei suoi libri, At Work (À pied d'œuvre), è diventato un film.

A Pied D Oeuvre Bastien Bouillon Credits Christine Tamalet Igy2Ice
Bastien Bouillon in À pied d'œuvre

Diretto da Valérie Donzelli, che si è ritagliata anche il ruolo dell'ex moglie del protagonista, At work è stato presentato in concorso a Venezia 82. Il nome dell'uomo al centro di tutto è stato cambiato, il personaggio si chiama infatti Paul Marquet (Bastien Bouillon), ma la sostanza non cambia. È infatti il racconto di un fotografo che, dopo il trasferimento della compagna e dei figli in Canada, decide di inseguire finalmente la sua più grande aspirazione: scrivere.

Per farlo rinuncia alla fotografia, ma si accorge presto che per sostenersi ha comunque bisogno di guadagnare. Si iscrive allora a un'app in cui offre servizi da tuttofare, dalla riparazione di scarichi ad autista, offrendo prezzi più bassi per battere la competizione. Fare questi lavori umili, molto lontani dallo scintillio dei servizi di moda a cui era abituato, gli dà una nuova consapevolezza. Che finisce nei suoi scritti. Quando finalmente riuscirà a farsi pubblicare dalla casa editrice Gallimard (inconfondibile con le sue copertine bianche e le scritte rosse) finirà però per scoprire che vedere un proprio libro sugli scaffali non è sinonimo di successo o guadagno. Ma non importa: poter scrivere è tutto ciò che conta.

Un film commovente, nonostante tutto

Il film di Valérie Donzelli dà un'idea molto romantica dell'arte. Vivere soltanto delle proprie aspirazioni è un cliché che affascina da sempre lettori e spettatori. È facile quindi lasciarsi trasportare dall'ostinata volontà di Paul nel concedersi finalmente uno spazio tutto per sé. Scrivere come bisogno, come urgenza. Se non è romanticismo questo, cosa? È pur vero però che la sua è anche la storia di un privilegiato che, pur mettendosi a fare lavori diversi, può comunque permettersi di rinunciare a soldi e successo per seguire un percorso più incerto. È vero, lo vediamo risparmiare perfino sulle cartine per le sigarette, ma non c'è mai davvero la sensazione che possa finire per strada. E viene da chiedersi perché, invece di cimentarsi in mestieri che non ha mai fatto, non abbia semplicemente rallentato con la fotografia.

La parabola di Paul sembra infatti proprio quella di un uomo che ha sempre avuto a che fare con un lavoro creativo, in particolare uno che, per sua stessa natura, è molto lontano dalla vita quotidiana. La bellezza delle fotografie di moda è molto lontana dalla realtà che viviamo tutti. Quindi il suo cimentarsi con esperienze mai fatte sembra quasi un corso accelerato di "vita vissuta", più che una necessità.

Non affrontare, o capire, i problemi delle persone è infatti decisamente un problema per chi deve scrivere storie. Come ha detto Monicelli, la commedia italiana è finita quando i registi hanno smesso di prendere l'autobus. Lo stesso vale per gli scrittori: descrivere emozioni umane è difficile se non sai cosa si prova nei momenti più complessi. Motivo per cui vogliamo credere che l'intelligenza artificiale non potrà mai sostituire davvero gli esseri umani. Ma questa è un altro discorso. Tornando a Donzelli: la "discesa agli inferi" di Paul quindi, per quanto commovente, potrebbe anche risultare un po' vanesia. Mi compiaccio del mio dolore, perché così posso diventare un artista migliore.

Bastien Bouillon è struggente

A Pied D Oeuvre Bastien Bouillon Credits Christine Tamalet
Una scena di À pied d'œuvre

Questo pericolo, per fortuna, viene in gran parte evitato soprattutto grazie all'interpretazione di Bastien Bouillon, davvero commovente. La telefonata finale con il figlio vale tutto il film. I suoi silenzi, il suo sguardo malinconico, ma sempre dignitoso, riempiono i 92 minuti di At Work. La sua interpretazione ci ha convinto al punto da mettere da parte la sensazione strisciante di assistere al grido autocompiaciuto di un privilegiato che ha deciso di togliersi lo sfizio di essere un artista. Insomma: c'è della sincerità in questa ennesima variazione del tema "anche i ricchi piangono".

Conclusioni

Valérie Donzelli porta sul grande schermo il libro À pied d'œuvre di Franck Courtès, fotografo che ha rinunciato a una carriera di successo per dedicarsi alla scrittura. Il nome del protagonista è diverso, ma quella raccontata è proprio la sua storia vera. Al giorno d'oggi l'idea dell'artista tormentato che decide di seguire la povertà pur di realizzare i propri sogni potrebbe sembrare più una posa che non un desiderio sincero. Il rischio di assistere a qualcosa di estremamente ipocrita è però evitato grazie all'interpretazione di Bastien Bouillon, bravissimo.

Movieplayer.it
3.0/5
Voto medio
N/D

Perché ci piace

  • L'interpretazione di Bastien Bouillon.
  • La scena della telefonata del protagonista con il figlio, che vale il film.

Cosa non va

  • Scavando dietro la patina di idea romantica dell'arte come urgenza, si tratta dell'ennesima rivisitazione del tema "anche i ricchi piangono", che potrebbe respingere una parte di pubblico.