Un omaggio al genere horror e al tempo stesso una critica al cinema italiano (e al suo pubblico) che - pur avendone tutte le capacità - di film come questi non ne fa più. C'è questo alla base del nuovo film di Roberto De Feo (che ci aveva molto colpito nel 2019 con il suo The Nest - Il nido) e dell'esordiente Paolo Stripoli: in questa recensione di A Classic Horror Story, prodotto e distribuito da Netflix (ma presentato in concorso al Taormina Film Fest), non possiamo che sottolineare quanto questo film ci abbia da un lato piacevolmente sorpresi - tutta la prima parte, in cui il divertissement da parte di registi e sceneggiatori nel citare i classici del genere è più evidente, ci è parsa particolarmente ben riuscita -, dall'altro, invece, ci abbia lasciato un po' con l'amaro in bocca: con il twist finale - non preoccupatevi, proseguite tranquillamente nella lettura perché non vi faremo spoiler - viene reso infatti (fin troppo) esplicito un messaggio che già era stato al centro di altri prodotti del medesimo genere (il collegamento più immediato è con il cult Quella casa nel bosco di Drew Goddard).
A Classic Horror Story, come vedremo, cerca di essere coraggioso ed originale, ma è come se non facesse quel piccolo passo in più per esserlo veramente: detto questo, però, il film nel complesso risulta comunque intrigante e divertente, e ci fa sperare che il nostro cinema continui a riscoprire un genere che è davvero nelle sue corde. L'opera di De Feo e di Stripoli non fa che evidenziare quanto in Italia ci siano giovani registi e sceneggiatori - ma anche abilissime maestranze - capaci di realizzare horror che siano apprezzabili anche all'estero, d'altronde i nostri boschi e il nostro folclore sono terreno fertile per storie davvero da brivido.
Uno sfortunatissimo viaggio
I protagonisti di questa storia sono cinque ragazzi che si incontrano dopo aver deciso di arrivare in Calabria facendo carpooling: il guidatore, Fabrizio (Francesco Russo), un giovane nerd amante del cinema; Riccardo (Peppino Mazzotta), un medico che nasconde alcuni problemi familiari; Yuliia Sobol e Will Merrick, una coppia di stranieri che si stanno recando a un matrimonio, e infine Elisa (Matilda Lutz), che dopo aver scoperto di essere rimasta incinta torna controvoglia a casa dei genitori. Il viaggio viene però bruscamente interrotto al calar della notte: una carcassa di animale per strada li fa frenare bruscamente, portando il camper su cui si trovano a schiantarsi contro un albero. I cinque perdono i sensi nell'impatto e non si risvegliano fino al mattino seguente: alla luce del sole si rendono presto conto di non trovarsi più nel luogo dell'incidente, ma in una radura al limitare di una vasta foresta e nei pressi di una casa che definire inquietante è decisamente dire poco. Le cose si trasformeranno presto da misteriose a drammatiche nel momento in cui a fare compagnia ai nostri personaggi arriveranno anche dei misteriosi individui mascherati, intenzionati a far di loro dei sacrifici umani in un diabolico rituale. I villain di questa terrificante storia? Osso, Mastrosso e Carcagnosso, importanti figure del folclore nostrano che qui si trasformano in Jason, Leatherface e Freddy, come chiarirà al pubblico ad un certo punto uno dei personaggi.
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Le citazioni ai classici del genere si sprecano, soprattuto nella prima parte del film: A Classic Horror Story è un'ode al cinema horror degli anni '70 e '80 - da Non aprite quella porta a La casa e The Wicker Man - ma anche a film più recenti, primo fra tutti come dicevamo Quella casa nel bosco, ma anche Midsommar - Il villaggio dei dannati e The Blair Witch project - Il mistero della strega di Blair. Una commistione di sottogeneri, dallo slasher al folk horror, che nel film di De Feo e Stripoli funziona particolarmente bene, intrigando lo spettatore più appassionato che si diverte a cercare collegamenti e citazioni nel corso della visione. Trasportare l'immaginario creato da decenni di questo cinema nel contesto (ancora relativamente nuovo) del folclore nostrano non stranisce, ma anzi fluisce in un insieme che a tratti riesce anche ad essere estremamente inquietante (ci viene da citare ad esempio la scena del primo incontro con i tre diabolici villain dei film). Un'ottima fotografia e un comparto sonoro apparentemente stridente ma molto azzeccato (indicibili orrori vengono compiuti mentre ascoltiamo Era una casa molto carina) riescono a rendere il tutto ancor più affascinante.
C'era bisogno di un po' di coraggio in più
Ma passiamo a quelle che per noi sono le note dolenti, ossia un finale con un twist che ribalta completamente il significato del film (e una doppia conclusione che non fa altro che ribadire quanto già detto) ma che non riesce veramente a colpirci e a stupirci. Gli spunti forniti da questa storia sono diversi, da una critica alla spettacolarizzazione del dolore e della morte fino ad un discorso piuttosto arrabbiato su cosa significhi fare cinema del terrore, soprattutto per un pubblico come quello italiano. Tutti temi che non fanno da sottofondo alla storia horror - fornendo diverse chiavi di lettura e stimolando chi guarda ad un sua interpretazione come avviene, ad esempio, in Quella casa nel bosco e Midsommar - ma anzi ne guidano lo sviluppo e si fanno palesi nel finale, dove vengono gridati e sbattuti in faccia allo spettatore. La ricerca di originalità e la voglia di stupire il pubblico sembrano essere gli obbiettivi principali che A Classic Horror Story si è prefisso, peccato però che si tratti di spunti e di escamotage narrativi che il cinema di questo genere ha, in passato, già trattato ed utilizzato, e per questo il finale del film di De Feo e di Stripoli perde in parte di forza. Ad aggiungersi a questo, il fatto che si faccia più volte accenno all'ndrangheta (Osso, Mastrosso e Carcagnosso secondo la leggenda sarebbero i padri fondatori delle mafie italiane) come se avesse un ruolo di peso all'interno dell'intreccio narrativo ma che poi, giunti al termine della visione, ci si renda conto che il discorso non è stato mai veramente approfondito. Ecco, parlare di mafia - soffermandosi sul tema - in un film di genere horror sarebbe stato a nostro parere ancor più coraggioso che "limitare" la conversazione alla critica sull'industria del cinema nostrana.
Detto questo, comunque, A Classic Horror Story è capace di intrigare e divertire lo spettatore, che viene guidato sapientemente nella vicenda anche da un cast all'altezza, in particolare una Matilda Lutz sempre molto intensa. Anche per questo il film di De Feo e di Stripoli non sfigurerebbe sul grande schermo, tanto nel nostro paese quanto, come dicevamo, all'estero.
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Conclusioni
Concludendo questa recensione di A Classic Horror Story non possiamo che ribadire come si tratti di un horror interessante e ben sviluppato, che affonda le sue radici in un folcrore nostrano particolarmente intrigante. Il messaggio che il film vuole trasmettere però non è così originale e il finale per questo perde un po' di forza.
Perché ci piace
- La storia che affonda le sue radici nel folclore nostrano.
- Musica e fotografie sono perfette per questo tipo di film.
- Il cast all'altezza.
- Il film è un ode al cinema horror anni Settanta e Ottanta.
Cosa non va
- Il messaggio che ci vuole tramettere non è così originale, il finale per questo perde di forza.
- Si fa accenno alla mafia: parlarne più approfonditamente sarebbe stato davvero coraggioso.