Bastano solo 7 minuti per cambiare la vita delle persone: nel film di Michele Placido, questa manciata di vita è il casus belli che trascina undici operaie di un consiglio di fabbrica verso un'eterna discussione sul loro futuro, le cui carte si volteranno più volte fino alla decisione finale. Un testo teatrale di Stefano Massini che racconta una storia vera, quella di una fabbrica tessile francese che una volta acquisita da una multinazionale ha resistito alle sue richieste grazie proprio ad un consiglio di operaie, pronte a combattere una battaglia antica eppure modernissima sui loro diritti di lavoratrici. Ce ne ha parlato lo stesso Michele Placido, che ha tenuto a ribadire prima di tutto quanto è stato difficile ottenere dei finanziamenti per un film così potente.
"Quando Stefano mi ha dato il testo, ho capito che poteva essere un film potente ma soprattutto un film adatto a me, nonostante la sfida di dover dirigere undici donne. In Italia però è davvero difficile ottenere finanziamenti per film del genere", ha raccontato il regista. "I primi a salire a bordo sono stati i francesi, colpiti dalla potenza di una storia che proveniva proprio da loro. L'Italia è arrivata dopo, ma ha richiesto di avere delle attrici conosciute, non vere operaie come avevo intenzione di fare io, quindi sono sceso a compromessi guadagnando un ottimo cast". Verrebbe da dire per fortuna, perché è proprio il suo cast una delle cose più funzionali del film, a partire dalla sorpresa Fiorella Mannoia fino alla figlia Violante Placido, Ambra Angiolini, ma soprattutto Ottavia Piccolo - presente nel progetto fin dall'inizio e protagonista anche della versione teatrale.
L'importanza del lavoro
Michele Placido ha parlato a lungo anche delle sue influenze, citando ovviamente i maestri del cinema di genere: "Ho pensato ad artisti come i Dardenne o Ken Loach, ma in realtà quello che mi ha ispirato di più è Sidney Lumet con il suo La parola ai giurati: è lui ad avermi insegnato che non è tanto importante inquadrare chi parla ma chi reagisce al discorso. È una tecnica che uso spesso nel film, quella di inquadrare le reazioni al posto delle azioni, perché comunicano esattamente il modo in cui lo spettatore si sente".
Anche Stefano Massini ha parlato a lungo del suo testo e dell'importanza di una storia del genere nella nostra società. "L'aspetto che mi ha colpito di più quando ho trovato per caso questa storia su un giornale francese è l'idea generale del lavoro. Sociologicamente il lavoro è fatica, riguarda il portare il cibo a casa, come spiegano proprio alcune donne nel film. In questo senso l'uomo è unito all'animale. Noi viviamo in un periodo in cui il lavoro non porta più il cibo a casa, penso ad esempio agli stage sottopagati o alle cose fatte per curriculum. Questo porta tutti noi a perdere identità con il lavoro, se prima si diceva 'io sono un giornalista' ora si dice 'io faccio il giornalista', abbiamo perso identità. È questo il senso più importante del film".
Una battaglia sociale
Il tema del film ha portato spesso tutte le protagoniste ad interrogarsi sul presente e soprattutto sulla situazione socioeconomica attuale. Una volta chiesto cosa avrebbero votato al posto dei loro personaggi, tutte hanno spiegato il loro punto di vista, per prima Fiorella Mannoia. "È difficile dare una risposta, perché ogni voto è estremamente personale. Abbiamo perso il sentire comune, la mia generazione ha vissuto battaglie, consigli di fabbrica, mentre quello che ci aveva fatto sentire un corpo solo ormai non esiste più e la società è molto frammentata". Si accoda al discorso anche Ottavia Piccolo, che segue la stessa linea. "Ad oggi è davvero difficile credere nelle autorità, c'è molta sfiducia anche nei governi proprio per questo motivo: il finale del mio personaggio è attualissimo, perché dimostra proprio che nella società di oggi non ci si riesce a fidare di nessuno". Ambra Angiolini chiude il cerchio: "Quello che dicono loro è vero: nella società di oggi molti parlano al passato e pochissimi al presente, perché siamo abituati a ricordare tempi migliori".